L'editoriale
Il Qatar, Totò e l’Europa, ma ora in Italia serve una legge sulle lobby
L’affaire Qatar, in una scena europea che vive da tre anni una crisi infinita tra pandemie e guerre dentro casa, ha rappresentato una brutta ferita alla reputazione dell’Unione
L’affaire Qatar, in una scena europea che vive da tre anni una crisi infinita tra pandemie e guerre dentro casa, ha rappresentato una brutta ferita alla reputazione dell’Unione, che già di suo è vista dai cittadini con qualche diffidenza, e spesso anche vissuta come una matrigna dai tratti arcigni di una valchiria fuggita col suo cavallo dalle brume dell’estremo nord.
In un tempo di magra come quello che stiamo vivendo, dunque, l’incendio mediatico brucia ancora di più le residue risorse della politica europea- come avvenne in Italia con Tangentopoli- scaldando il cuore dei sovranisti di cielo, di terra e di mare. E poco spazio resta per un pensiero un po’ più compiuto. Per esempio: nessuno che abbia aperto bocca sul fatto che la faccenda Mondiali di calcio nel golfo Persico è stata impacchettata dalla FIFA, l’organo di autogoverno del calcio mondiale e che, se tanto mi dà tanto, a cercar in giro petrodollari ci sarebbero parecchi anfratti in cui guardare. Che poi, diciamolo: questi arabi del Qatar (e marocchini) somigliano un po’ agli acquirenti americani della Fontana di Trevi venduta da Totò, se pensano che il Parlamento Europeo rappresenti il vero centro delle decisioni nell’Unione e che uno dei 14 (sì, proprio quattordici) vice presidenti insieme a qualche ex parlamentare e a qualche assistente precario, possa determinare chissà che.
Prima che lo abrogassero per far posto al traffico d’influenze, in Italia c’era il reato di millantato credito: ti prometto un vantaggio non dovuto vantando relazioni e influenze che non ho sui decisori pubblici, dietro pagamento in denaro o altre utilità. Reato tipico dei topi della politica, quelli di margine, che si rivolgono alla platea degli sprovveduti: spesso incrociava anche la circonvenzione d’incapace. Vedremo il percorso processuale di questa vicenda affidata, per quel che riguarda gli attori che girano attorno alle istituzioni europee, alla giurisdizione belga e al Regolamento del Parlamento di Bruxelles, che peraltro si è già velocemente attivato destituendo la Kaili secondo le procedure previste.
Ovviamente sarà difficile risalire la china reputazionale, ma più che le tirate moralistiche un tanto al chilo, facili da dispensare, servirebbe la ripresa del cammino federalista, l’unico che può salvarci dall’inconsistenza: le istituzioni fragili sono il terreno ideale di coltura della corruzione. Un’ultima notazione: una vittima di questa sgradevole vicenda è la professione lobbistica, quella seria, trasparente, fatta con tutti i crismi e doveri. So che l’argomento è storicamente indigesto per la pubblica opinione italiana, ma bisogna fare i conti con questa realtà che è parte attiva nella democrazia liberale perché consente ai gruppi d’interesse di dialogare con i decisori pubblici.
Gli americani, che non hanno mai conosciuto partiti politici in grado di svolgere mediazione tra interessi diffusi nella società e luoghi delle decisioni politiche, misero addirittura nel primo emendamento della Costituzione il diritto alla rappresentazione degli interessi. In Europa, soprattutto quella mediterranea, non è mai stato così: un che di ambiguo si è sempre depositato sulla parola «lobby», fino a che i partiti hanno assorbito tutta la rappresentanza dei gruppi sociali. Adesso che i partiti sono più fragili e sempre meno rappresentativi, i gruppi d’interesse- che non sono soltanto i capitalisti delle multinazionali, attenzione, ma anche associazioni di volontariato, comunità di cultura, centri di ricerca, insomma: società vitale-si avvalgono di chi professionalmente è in grado di spiegare ai decisori situazioni e problematiche che i partiti non sono più in grado di intercettare. È alimento della democrazia tutto questo, a condizione che venga fatto secondo le regole della trasparenza e della correttezza. Fior di rispettabili professionisti fanno questo difficile mestiere e non sono quelli che si incontrano nelle cronache giudiziarie. Ecco un insegnamento per la nostra Italia: che si giunga finalmente a varare una legge sulle lobby. È il vero antidoto contro i veleni della corruzione. Anche quando somiglia a Totòtruffa ‘62. Che però non fa sorridere.