L'analisi
Carburanti, prezzi giù. Ma la vera sfida è la transizione green
In marzo il governo Draghi, di fronte all’impennata dei prezzi mondiali dei prodotti petroliferi, dovuta anche allo scoppio della guerra in Ucraina e alle preoccupazioni legate alla disponibilità dell’Ural, il petrolio russo, aveva deciso di ridurre le accise sui carburanti di ben 30,5 centesimi al litro
Dal 1° dicembre il governo Meloni ha ridotto lo sconto sulle accise dei carburanti di 12 centesimi al litro. Il costo del pieno sarebbe dovuto crescere subito e considerevolmente. Invece i prezzi del carburante alla pompa sono in continua discesa. Cosa è successo?
Facciamo un po’ d’ordine. In marzo il governo Draghi, di fronte all’impennata dei prezzi mondiali dei prodotti petroliferi, dovuta anche allo scoppio della guerra in Ucraina e alle preoccupazioni legate alla disponibilità dell’Ural, il petrolio russo, aveva deciso di ridurre le accise sui carburanti di ben 30,5 centesimi al litro. Come riferimmo sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» del 24 marzo, presentando i dati di un’indagine del Laboratorio di Economia Applicata (LEA) dell’Università di Bari, non tutti i distributori adeguarono immediatamente alla disposizione di legge. Tuttavia, seppur con qualche ritardo, l’effetto di «raffreddare» i prezzi fu raggiunto, anche se con un esborso considerevole per le casse dello Stato.
In quei mesi tornarono ancora una volta sotto accusa le famigerate accise. Vale a dire il prelievo che lo stato impone su prodotti energetici diversi, e che sono il frutto di una sedimentazione lunghissima di piccoli aumenti che, alla fine, però, raddoppiano di fatto il prezzo industriale dei derivati dal petrolio (e non solo, visto che vi è una ampia lista di prodotti di consumo soggetti a questa tassa).
Le accise costituiscono tuttavia solo una componente, la più controllabile, del prezzo finale del pieno dell’auto. L’altra, il prezzo del greggio, sfugge all’iniziativa politica di qualsiasi singolo Stato, USA e Stati produttori arabi esclusi.
La grande variabilità dei prodotti petroliferi è osservabile seguendo l’andamento dei mercati internazionali. Nel marzo 2022 la quotazione del Brent, il petrolio del mare del Nord che funge da benchmark dei prezzi mondiali, aveva toccato quota 130 dollari al barile (160 litri). Dopo questo picco, si è quindi innescato un movimento al ribasso che ha portato il prezzo all’ultima rilevazione disponibile, quella del 9 dicembre scorso, a 76 dollari, vale a dire poco meno del 60% rispetto allo zenit della curva.
I timori che il recente tetto al prezzo dell’Ural stabilito dai Paesi dell’Unione Europea potesse nuovamente rialzare il livello mondiale dei prezzi sembrano, finora, risultare infondati.
Bene fece dunque il governo Draghi a raffreddare i prezzi al consumo dei carburanti, che costituiscono una componente determinante dell’inflazione. Secondo i dati Istat, a ottobre 2022 l’inflazione, che ha raggiunto l’11,8%, in assenza di rincari dei prezzi dei beni energetici - ossia luce, gas e carburanti - sarebbe stata «solamente» del 5,9%.
In una fase di tendenza marcata di discesa dei prezzi petroliferi era senza dubbio il momento giusto per ridurre lo sconto sulle accise, anche mettendo in conto le critiche politiche che sono puntualmente arrivate al governo in carica. Non bisogna infatti dimenticare che lo sconto sulle accise comporta di fatto il venire meno di entrate consistenti. Per i dieci mesi in cui in cui è stato in vigore il taglio, la diminuzione del gettito è stata stimata in oltre 4,51 miliardi di euro (fonte: Servizio studi del Parlamento), soldi che lo Stato ha dovuto procurarsi altrimenti, o che ha rinunciato a destinare a servizi essenziali. In fase di progettazione del bilancio pubblico per l’anno 2023, si è dunque comprensibilmente pensato di «recuperare» tali somme da destinare ad altri interventi.
Sarebbe peraltro possibile, o forse auspicabile se il trend discendente dei prezzi internazionali dovesse proseguire (dal 1° dicembre a oggi il barile di greggio è sceso di altri 10 dollari), porre fine allo sconto sulle accise. Che, tra le altre cose, «pesa» su tutti i contribuenti, anche quelli che non usano, o usano meno, la macchina (disoccupati, poveri, pensionati ecc.).
Discorso diverso è, invece, un ragionamento complessivo sulla tassazione dei prodotti petroliferi, che non dovrebbe esimersi dall’incentivare, anche se indirettamente, le fonti di energia rinnovabili e i trasporti pubblici, soprattutto quelli su rotaia che sono i meno inquinanti, e la mobilità intra-urbana dolce.
Ben venga dunque questo «regalo natalizio» di una benzina dal prezzo non così elevato come si temeva quando, pochi mesi fa, sfondò il tetto psicologico dei due euro al litro. Ma le feste non ci facciano dimenticare che i problemi sono grandi e sono altri. Vedi alla voce transizione energetica.