L'analisi
Diritti e crescita: ora l’equazione rischia di saltare
I cittadini, e soprattutto i parlamentari di tutti gli schieramenti politici eletti nel Mezzogiorno, devono mobilitarsi per fermare questa riforma spacca-Italia
L’autonomia differenziata è il modo più rapido per distruggere la coesione sociale, culturale ed economica del paese e per renderlo più debole e irrilevante, da Nord a Sud. Uno sbaglio, enorme, sia sul piano della giustizia sociale che su quello dell’efficacia stessa dell’azione pubblica. Per capire il perché è fondamentale bloccare questa sciagurata riforma provate ad immaginare di vivere in una città con due quartieri, il quartiere Est e il quartiere Ovest. Ad Est vivono per lo più famiglie con redditi elevati mentre ad Ovest vivono famiglie con un reddito mediamente più basso. Gli ospedali, le scuole, i servizi di trasporto, gli uffici comunali sono gestiti in modo unico dal Comune e sono più o meno erogati con la medesima efficienza e qualità in entrambi i quartieri. Come sono finanziati questi servizi pubblici? Come avviene in qualsiasi comunità moderna, dal sistema fiscale; ovvero dalle tasse e imposte pagate dai cittadini che abitano il comune. Tutti beneficiano dei servizi pubblici erogati dal Comune ma i ricchi pagano, in proporzione, di più. È il principio di solidarietà su cui si fondano le comunità, sancito anche dalla nostra Costituzione.
Ora immaginate che i cittadini più ricchi, quelli che vivono nel quartiere ad Est, siano stanchi di contribuire all’erogazione congiunta dei servizi pubblici e chiedano a gran voce quella che il collega e amico prof. Gianfranco Viesti, uno dei più importanti studiosi dell’economia del Mezzogiorno, chiama la «secessione dei ricchi»: ovvero la possibilità di provvedere da sé all’erogazione dei servizi pubblici – trattenendo gran parte delle maggiori risorse versate al bilancio comune. È questa di fatto l’autonomia differenziata. Cosa succederebbe in questo Comune? Non sarà più la collettività intera a definire ed erogare i servizi collettivi ma, ciascun quartiere definirà in base alle proprie risorse la quantità e qualità dei servizi erogati. Facile intuire che bambini nati in quartieri diversi di questa città avranno diritto a servizi per l’infanzia differenti; probabilmente i nati nel quartiere meno ricco avranno meno posti e di qualità minore. Stessa cosa per scuole e Università ma, anche per la pulizia delle strade, il controllo del traffico e qualità dei servizi sanitari.
L’autonomia differenziata quando sono differenziati anche i livelli medi di reddito produce inevitabilmente diritti di cittadinanza differenziati. Se la lotteria della vita ti fa nascere nel fortunato quartiere Est avrai più servizi e tutele, meno rischi e più opportunità rispetto a chi nascerà nel quartiere ad Ovest. Uno schiaffo ai principi di uguaglianza e solidarietà.
Ma l’autonomia differenziata è insidiosa perché non significa solo diritti di cittadinanza differenziati, ma anche cittadini sempre più differenti. Cosa produce a lungo andare una scuola dove i programmi sono regionalizzati e progressivamente differenti tra aree? Una società dove quei beni pubblici su cui si fonda il senso di appartenenza ad uno Stato unitario sono sempre più differenti? Il risultato è quello di un paese frammentato, una società più chiusa e un sistema economico più povero e debole. Le tre regioni che a gran voce guidano la corsa verso l’autonomia differenziata (Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna) hanno tutto da perdere da un sistema scolastico e universitario più debole nel Mezzogiorno, da una formazione meno uniforme sul territorio nazionale. La rottura del patto di solidarietà genera (forse) guadagni effimeri nel breve periodo che si traducono inevitabilmente in una perdita di benessere per tutti i territori. La scienza economica ha dimostrato in modo chiaro come maggiore disuguaglianza porta a minore crescita e minore qualità della vita anche per i più ricchi.
Il Mezzogiorno non ha nulla da beneficiare dall’autonomia differenziata. Non è scontato neanche per le regioni più ricche che le maggiori risorse trattenute per sé si traducano in maggiore benessere. Il trasferimento di importanti responsabilità – e risorse - dallo Stato alle Regioni non significa automaticamente maggiore efficienza nell’erogazione dei servizi pubblici. Sono sotto gli occhi di tutti gli Italiani le enormi inefficienze legate alla regionalizzazione del sistema sanitario, in particolare durante la pandemia. Non vi è nessuna garanzia che le Amministrazioni Regionali siano più in grado di individuare ed erogare i servizi ai cittadini meglio dello Stato centrale; l’evidenza, e le cronache, suggeriscono il contrario.
Il progetto portato avanti dal ministro Calderoli è un percorso sbagliato nella sostanza, per le iniquità che creerebbe senza vantaggi di efficienza. È inaccettabile anche nella forma perché lascia al Parlamento un ruolo del tutto marginale chiamando i rappresentanti del popolo ad esprimere un mero parere non vincolante (in un mese!) e concentra le decisioni chiave in un «Comitato» espressione dello stesso Ministro e dei Presidenti di Regione.
I cittadini, e soprattutto i parlamentari di tutti gli schieramenti politici eletti nel Mezzogiorno, devono mobilitarsi per fermare questa riforma spacca-Italia. Non è una questione tecnica da osservare con tiepido interesse. È una questione di fondamentale importanza per il Paese.
Differenziare va bene quando parliamo di raccolta dei rifiuti, non quando sono in gioco diritti e servizi pubblici che sono la base della coesione sociale ed economica di un paese.