La riflessione
Il fantasma del Cremlino si aggira per l’Europa e aleggia sulla politica italiana
Non c’è dubbio che persi la Merkel, Johnson e Draghi, l’azione dell’Europa in favore dell’Ucraina risulterà indebolita e tentennante
Ombre russe sulla crisi di governo? La convulsa giornata di mercoledì, che ha segnato la fine dell’era Draghi e di molto altro, è stata descritta da più parlamentari come una giornata di «follia». La follia è una tipica categoria utilizzata per spiegare accadimenti di cui non si vuole o non si può individuare la vera causa. «Un raptus di follia», per esempio, è il movente più frequente che viene adotto per i casi di femminicidio.
Per capire qualcuna delle stranezze cui abbiamo assistito mercoledì occorre allargare un po’ lo sguardo e andare al duro scambio di accuse fra il nostro ministro degli Esteri e la portavoce del suo omologo russo, Lavrov. Di Maio aveva contestato a Mosca ingerenze per destabilizzare la situazione in Italia e in altri Paesi europei. Pronta e quanto mai dura e sarcastica la replica: «Luigi Di Maio continua a cercare cause esterne dei problemi politici interni del suo Paese, non c'è nulla di nuovo. Noi stessi siamo sbalorditi dal potere della diplomazia russa come risulta dai resoconti dei media italiani. Si scopre che i nostri ambasciatori possono cambiare i governi con un paio di chiamate». Solo schermaglie e voglia di polemica oppure c’è qualcosa di vero?
Difficile dare risposte certe, però alcune fondate considerazioni sono possibili. La prima riguarda proprio il ministro Di Maio, del quale va detto che nel suo ruolo è sempre stato quanto mai cauto e attento. Dunque se si è spinto in affermazioni così pesanti qualche ragione dovrà pure averla avuta.
La seconda considerazione riguarda l’improvviso cambio di marcia del presidente Draghi fra i due discorsi che ha letto in mattinata in Senato e gli altri precedenti. A Lega e 5Stelle Supermario ha riservato toni molto duri che fino al quel momento erano rimasti estranei al suo lessico. Come ha scritto Massimo Gramellini sul Corriere della Sera, si è tolto dalle scarpe sassolini grandi quanto il Monte Bianco. L’atteggiamento del presidente del Consiglio è andato così sopra le righe che è stato facile poi trasformarlo in un’accusa contro di lui. «Abbiamo visto da parte di Draghi non solo indicazioni generiche, purtroppo su alcune misure c’è stato anche un atteggiamento sprezzante. Questo ci dispiace molto perché abbiamo ricevuto anche degli insulti», ha dichiarato il presidente dei 5Stelle, Giuseppe Conte. Mentre fedelissimi di Salvini sottolineavano «le critiche ingenerose» riservate alla Lega dal presidente del Consiglio. Perché Draghi, che non è certo uomo incline a schermaglie da talk show, si è comportato così?
È innegabile che la fine del suo governo soddisfi interessi convergenti.
La Lega ha sempre mal sopportato il modo di fare di Draghi, realistico, concreto, efficace, modello che invece la comunicazione leghista da tempo sta cercando di cucire addosso a Salvini. In più il leader del Carroccio si è reso conto che la permanenza al governo stava erodendo la sua leadership in favore di figure più moderate, come il ministro Giorgetti. Dunque era necessario andare al voto, anche per risolvere una volta per tutte lo scontro con Giorgia Meloni, tema che nei prossimi giorni tornerà al centro delle cronache politiche, perché la ritrovata unità del centrodestra è terminata nel momento in cui Draghi si è dimesso.
I 5Stelle hanno in Conte un personaggio in cerca di autore. Qualche cronista ha osservato che per tutta la giornata di mercoledì il leader pentastellato non ha rilasciato dichiarazioni, ma che a fine serata nessuno se ne era accorto. Andare al voto significa per Conte rilanciare un Movimento dilaniato da crisi d’identità e scissioni e finalmente avere un’investitura che gli dia autorevolezza. La prevedibile perdita di consensi e di posti in Parlamento non spaventa più di tanto, poiché l’Avvocato del popolo immagina che alla fine a casa ci andranno Di Maio e gli altri transfughi. Lo conferma l’incontenibile esultanza di Rocco Casalino, che si sente già senatore.
Infine Berlusconi. Il suo passo è sembrato una scelta per consolidare il poco che è rimasto di Forza Italia. Della serie che restando nella coalizione gli Azzurri possono avere ancora visibilità, fuori sono poco più di quattro amici al bar.
Queste posizioni convergono perfettamente con l’obiettivo (raggiunto) di Putin di mettere a tacere una voce autorevole come quella di Draghi. Non c’è dubbio che persi la Merkel, Johnson e Draghi, l’azione dell’Europa in favore dell’Ucraina risulterà indebolita e tentennante. Del resto leghisti e pentastellati non avevano mai visto di buon occhio un sostegno all’Ucraina che non fosse solo di facciata. Ne è esempio il braccio di ferro sull’invio di armi alle truppe di Zelensky.
Questa sarà la prima volta in cui la campagna elettorale si svolgerà in piena estate e i partiti non sembrano attrezzati per farsi ascoltare sotto gli ombrelloni. Servono soldi e idee per sfruttare al meglio il web. Magari da Mosca potrebbe arrivare qualche efficace suggerimento a Lega e 5Stelle, visti anche i fertili rapporti del passato.