IL COMMENTO
Caino è tornato, è l'ora dei cattolici «ribelli per amore»
La lezione dei cattolici che imbracciarono i fucili nella Resistenza, continua ad avere una sua tragica e necessaria attualità
A pochi giorni dalla Pasqua appena passata, la tentazione di pensare a un Dio che smettesse il suo abito di entità nascosta e si mostrasse al mondo in tutta la sua potenza, confesso che è stata forte. Quando, se non ora, in questa passione insanguinata, dichiarare la sua presenza nella Storia, di fronte a una guerra che possiede tutte le credenziali per essere considerata ingiusta, disumana, anacronistica e uscire allo scoperto, mettere le cose a posto? È stata questa la domanda che, più o meno apertamente, ci siamo posti tutti. Sgombriamo il campo da facili conclusioni: nessuna guerra rassomiglia a un’altra e ciascuna trova una sua giustificazione, per quanto difficile da accettare, nei ragionamenti di chi, pur dichiarandosi fedele a una dottrina che la mette al bando come principio di male, solleva il vessillo della liceità. Il pensiero corre alle crociate del Medioevo e a quelle più vicine al nostro presente, come gli episodi di intolleranza con cui l’Occidente ha dovuto convivere a partire dalle Torri Gemelle o, assai più di recente, nelle parole del patriarca di Mosca che accredita le mosse di Putin, per esempio. C’è spesso il nome di Dio a benedizione di tutto, anche intorno alla nuova crociata con cui si interpreta l’invasione dell’Ucraina come conflitto tra civiltà. Ma il punto dolente non sta qui. Se ogni cosa si riducesse a quest’uso strumentale del nome di Dio, sarebbe troppo facile da individuare e giungere così a una conclusione. Il punto dolente si manifesta invece nelle questioni morali che si affacciano dietro l’incomprensibilità di quanto accade, nei motivi più o meno politici dell’aggressione della Russia putiniana a una nazione, l’Ucraina, che aveva scelto di seguire una sua traiettoria sullo scacchiere della Storia ed è stata per questo richiamata all’ordine, quasi a resettare gli ultimi trent’anni del più recente passato in nome di un principio egemonico di cui noi tutti stentiamo a comprendere le ragioni.
Credevamo di esserci messo alle spalle il Novecento (la sue frizioni ideologiche, le sue spinte nichiliste) e invece all’improvviso esso ci riappare con i suoi fantasmi (la rivolta d’Ungheria del 1956, l’invasione della Cecoslovacchia del 1968, la repressione di Solidarnosc del 1980) a dirci che quel pezzo di secolo non è morto, anzi è più vivo che mai e ci riporta in un tempo in cui i morti nelle strade di Kiev o di Mariupol - i cadaveri di soldati russi e ucraini, i corpi di civili in fuga con i trolley e le carrozzine, fino a due mesi fa intenti a vivere nelle liturgie della globalizzazione: la rete, le community sui social - hanno la parvenza degli estranei e di cui forse non hanno nemmeno sentito parlare. In quei militari poco più che adolescenti, caduti per invadere un Paese che si stava occidentalizzando o nei loro colleghi chiamati a difendere la propria Patria - un termine ottocentesco tornato alla ribalta - cosa possono significare termini come comunismo e consumismo? E i nomi come Stalin, Lenin, Kgb, quanto hanno albergato nella loro memoria? Tutto questo acquista paradossalmente senso più agli occhi di chi non crede rispetto a quelli di chi crede: in fondo è uno dei tanti incidenti della Storia, direbbero gli atei, uno di quegli episodi in cui il libero arbitrio esplode nella sua tellurica logica di sopraffazione. Ma solo in chi crede che il dramma trova albergo e non solo in relazione al silenzio di Dio, che tutti invocano eppure continua a non parlare (come non ha parlato di fronte ad Auschwitz o agli innumerevoli altri genocidi del Novecento), ma anche in confronto alla terribile scelta di campo che lo svolgersi dei fatti impone. Certo la pace ha un valore che sta al di sopra di ogni parte, però bisogna intendersi sul suo significato, interrogarsi cioè se essa vada considerata nelle astrazioni di un teorema che appartiene alle impalcature di un mondo ideale, talmente lontano da diventare inarrivabile, o se invece, sporcandosi con il fango delle pulsioni umane, non si debba impastare con i principi del rispetto e dell’identità.
Dunque, malgrado tutto, accettare la guerra come strumento di difesa e di libertà. Torniamo ai blocchi di partenza, vale a dire all’ennesima dimostrazione che i processi storici non seguono il corso elementare del progredire secondo giustizia e che, per dirla tutta fino in fondo, il tempo di domani non è per forza migliore del tempo di ieri. Esistono circostanze in cui a Davide è stato chiesto di combattere contro Golia e per quanto lunga sia durata l’illusione che l’Angelus Novus si fosse definitivamente allontanato da noi, settant’anni e poco più, la sofisticata creatura che Walter Benjamin vide volare sui campi di un’Europa minacciata dai totalitarismi è tornata ad aleggiare sulle nostre giornate. A ricordarci che esiste sempre un Caino in agguato dentro ognuno di noi e che nel cuore dello scorso secolo, nel momento in cui deflagravano gli odi politici e le prevaricazioni contro ogni forma di civiltà, la lezione dei cattolici «ribelli per amore», quelli che imbracciarono i fucili nella Resistenza, continua ad avere una sua, tragica, necessaria attualità.