L'opinione
Dalla Puglia di pace e dialogo no alla corsa al riarmo: la vera lotta è contro la povertà
Una guerra come detto che cade in un momento delicato sul piano internazionale, costretti a fare i conti con la pandemia e le sue ricadute sociali ed economiche, e ora con quelle causate dal conflitto in Ucraina
Le immagini di distruzione e morte che arrivano dall’Ucraina segnano ancor più profondamente questi tempi tormentati. Non siamo ancora usciti dalla pandemia e dalle sue disastrose ricadute sul piano sociale ed economico, che la guerra riesplode alle porte dell’Europa, dopo l’ultimo tragico conflitto jugoslavo. Con tutto il suo carico di terrore per le popolazioni civili direttamente colpite e le tensioni internazionali che generano incertezze e, anche in questo caso, inevitabili costi da pagare sul piano socio-economico.
La Puglia ha una sua storia e tradizione di regione che ha provato nel Mediterraneo ad essere sempre ponte che unisce e mai confine che divide, anche grazie ad alcune grandi personalità – penso a don Tonino Bello – e ad una straordinaria ricchezza di associazioni e movimenti che hanno fatto della pace e della lotta contro ogni violenza un caposaldo della propria azione politica e sociale.
La Puglia è da sempre tra le regioni con la più alta percentuale di obiettori fiscali, cioè di quanti non intendono sostenere con le proprie tasse la spesa per gli armamenti e auto detraggono una quota rapportata a quanto spende lo Stato, incuranti delle conseguenze. Una terra che attorno anche al culto di San Nicola, proprio della città capoluogo, ha da sempre consuetudine di scambi culturali, sociali ed economici con quelle terre dell’Est oggi tormentate dalla guerra.
Siamo tra quanti hanno partecipato alle manifestazioni per la pace di questi giorni, a partire dalla grande piazza di San Giovanni del 5 marzo scorso, chiamata dalla Cgil insieme alla Rete Italiana per la Pace e il Disarmo e a un cartello esteso di sigle e associazioni, conclusa da un intervento del nostro segretario generale Maurizio Landini. Perché siamo fermamente convinti che non è con le armi che si risolvono i conflitti, ma con la forza della politica e della diplomazia. Ma la nostra posizione è netta, non ci può essere ambiguità, anche se ha ragione Vendola a dire che si è scatenata una sorta di caccia al pacifista, dipinto come insensibile rispetto alle sorti delle popolazioni Ucraine, se non filo-Putin.
Noi siamo, come recita la Costituzione, per il rifiuto della guerra e chiediamo all’Europa – la comunità arca di pace così come era nelle idee dei padri fondatori – di operare affinché non vi sia un diretto coinvolgimento militare, ma di attivarsi per il dialogo tra le parti nel rispetto del diritto internazionale. Allo stesso tempo, siamo fattivamente vicini alla popolazione ucraina, ai profughi della guerra, con un sostegno concreto che passa attraverso iniziative di solidarietà e una raccolta fondi promossa dalla Cgil nazionale. Chiediamo la pace, perché la guerra come ha detto Papa Francesco è sempre una sconfitta per l’umanità, ma ci muoviamo a diversi livelli per sostenere le vittime della guerra.
Una guerra come detto che cade in un momento delicato sul piano internazionale, costretti a fare i conti con la pandemia e le sue ricadute sociali ed economiche, e ora con quelle causate dal conflitto in Ucraina. A pagare un costo sono sempre le popolazioni civili: pagano gli ucraini in termini di morte e distruzione, pagano gli stessi russi che magari si oppongono alla guerra ma non hanno spazi di dissenso, colpiti indirettamente dalle sanzioni economiche che quasi tutti i Paesi hanno deliberato nei confronti della Russia. Lo pagano anche i cittadini europei e italiani sul piano delle conseguenze di quella che se non può essere definita «economia di guerra», ha di sicuro ricadute importanti sul nostro vissuto: pensiamo solo alle risorse energetiche, a come ha inciso su un aumento dei costi al consumo per le utenze, al costo della benzina, che ha richiesto interventi del Governo non sufficienti a frenare un’inflazione che sta erodendo in modo preoccupante i redditi da lavoro.
Pensiamo alla Puglia, agli interscambi consolidati con Ucraina e Russia in termini di import ed export, dalle materie prime come metalli ai prodotti di colture agricole, fino ai prodotti della raffinazione del petrolio, al tessile, alla farmaceutica. Così come i mercati dell’est hanno rappresentato negli ultimi anni un importante bacino di turisti per la Puglia, e più in generale come le tensioni internazionali segnino negativamente anche la stessa propensione a organizzare una vacanza. Tutti scenari che non potranno non avere poi risvolti sul versante occupazionale.
Non saremo mai sostenitori di una ripresa della corsa agli armamenti, non sono le armi che garantiranno sicurezza e sviluppo alle nostre popolazioni ma la ferma opposizione a ogni forma di nazionalismo, la forza delle relazioni politiche e diplomatiche, della crescita economica globale che sottrae - dal nord al sud del pianeta - le popolazioni alla propaganda di zar e tiranni di vecchio e nuovo conio, che cavalcano il malessere sociale per disegni criminali e guerrafondai. La guerra, la violenza, non è mai la soluzione. L’unica arma che favorisce la pace è il lavoro, quello che permette alle persone di vivere una vita degna, il lavoro dei nostri rappresentanti politici per garantire una equa distribuzione delle risorse, in un mondo che vede invece concentrare sempre più nelle mani di pochi le ricchezze a svantaggio della moltitudine. Rivendichiamo il diritto e l’agibilità di affermare che ci preoccupa uno spazio mediatico interamente occupato da messaggi di sostegno all’escalation bellica.
L’unica guerra che va sostenuta è quella alla povertà. Vorremmo che ce ne ricordassimo tutti, che ci ricordassimo dell’umanità sofferente in ogni zona di guerra, in Ucraina, in Siria, nel Mali, nello Yemen, in Somalia, solo per citarne alcune. Perché vi sia pace e sviluppo ovunque.