IL COMMENTO
Cari intellettuali, è vile chiedere per l’Ucraina la «pace incondizionata»
Un atteggiamento ambiguo da parte di chi dice di «fare» ma che in realtà si pone solo diplomaticamente senza agire
Sono settimane che ci si confronta in ogni luogo possibile su come l’Italia debba rapportarsi a questa guerra. La classe politica è abbastanza compatta nell’adesione, non solo ideale, alle ragioni dell’Ucraina, magari con toni e sfumature diverse – e ovviamente essere contro l’invasione della Russia e a favore della resistenza ucraina significa «sporcarsi le mani», perché anche solo accettare una guerra indiretta è una scelta difficile, coraggiosa e moralmente dolorosa. Molti intellettuali italiani, invece, sono per la pace, per una pace, diciamo così, incondizionata. Come ci fossero, tra quanti sostengono fino in fondo le ragioni degli ucraini, degli amanti della guerra. È una posizione legittima, ma avvilente, perché adolescenziale e di comodo. L’unica cosa che la maggioranza degli intellettuali sa dire è che bisogna fare di tutto per arrivare alla pace. Ma una simile posizione non solo è pre-politica ma finanche vile, perché quando tu hai milioni di persone che soffrono, muoiono e scappano a causa dell’invasione militare di uno Stato sovrano di fatto europeo, tu non puoi disimpegnarti dicendo che bisogna fare la pace e risolvere la questione diplomaticamente. Perché se lo dici è vero sì che forse ti senti a posto con la tua coscienza, ma di fatto volti le spalle a chi, disperatamente, ti sta chiedendo aiuto.
Ci sono molti modi per fare la guerra alla Russia provando a evitare una cosiddetta escalation mondiale: avallare crescenti sanzioni economiche e finanziarie alla Russia; fornire armi all’Ucraina; sopportare con sacrificio inflazione, penuria di materie prime e crolli commerciali nell’export verso la Russia; accogliere profughi ucraini; stanziare soldi per l’Ucraina; non farsi intimidire dalle minacce, anche nucleari, di Putin; e, infine, appoggiare fino in fondo la resistenza e la lotta di liberazione nazionale del presidente Zelensky e del suo popolo. I nostri intellettuali, invece, sono per la pace incondizionata. E secondo me è giunto il momento di dire loro una verità incontestabile, e cioè che c’è un solo modo per avere subito la pace in questa guerra: chiedendo a Zelensky di arrendersi, e di consegnare alla Russia il suo Paese sovrano. Un’opzione francamente inaccettabile, e finanche immorale. Spesso ci si chiede perché gli intellettuali italiani contino sempre di meno. Ecco, questa guerra ci aiuta a mettere meglio a fuoco la questione. Mediamente gli intellettuali italiani sono per il disarmo, per la pace nel mondo e per il dialogo tra i popoli. Tutte posizioni nobili, per carità. Ma messi di fronte alla dura realtà della storia, essi preferiscono una comoda assoluzione morale a una più difficile presa di posizione concreta, coraggiosa ed efficace. Tutta la nostra Resistenza al nazifascismo – che ha poi alimentato il senso più profondo della Costituzione – è stata fatta con le armi, ovvero uccidendo fisicamente nazisti e fascisti. La Resistenza, insomma, non è stata pacifista, benché il sogno dei partigiani fosse proprio un mondo senza più guerre. Ma quando parliamo di Resistenza partigiana noi parliamo di imboscate, di fucilazioni, di processi sommari, di impiccagioni, di attentati omicidi. O no?
L’Ucraina è un Paese europeo che molto probabilmente farà presto parte della Ue; ed è un Paese che, come tanti altri della frontiera orientale europea, sta optando per il modello liberal-democratico occidentale. Come si può pensare di non essere dalla sua parte fino al punto di avallare, come l’Europa e l’Occidente stanno facendo compattamente, operazioni militari indirette che aiutino l’Ucraina a resistere e a fiaccare l’esercito russo, che sta avendo sempre maggiori difficoltà a portare a termine quest’assurda guerra? Certo, stare dalla parte dell’Ucraina senza invocare un nobile ma astratto e disimpegnato pacifismo costa molto, ed espone al rischio di essere accusati di bellicismo o di atlantismo guerrafondaio; ma essere pacifisti assoluti garantirà certamente il paradiso dopo morti, ma di certo non darà nessun contributo concreto a chi in questo preciso momento sta lottando con tutte le forze contro un aggressore e in di difesa della propria patria, della propria libertà, della propria democrazia e della propria dignità. Gli intellettuali pacifisti preferiscono mettersi al riparo da critiche e da scelte moralmente laceranti. Ma questa vocazione autoassolutoria è esattamente il motivo per cui contano sempre meno, e sempre meno riescono a incidere sulla concreta realtà del mondo.