IL COMMENTO

Né con Mosca né con Kiev, all’Italia conviene tenersi fuori dal conflitto

Nico Perrone

Sono circa tremila i nostri concittadini presenti nel Paese dell'Est: le previsioni sulla guerra

Dov’è Kiev? In italiano pare che si debba chiamare Chiovia, ma nessuno lo sa. È la capitale dell’Ucraina, un paese del quale sappiamo poco. Sappiamo però - e ne abbiamo paura per le ragioni che diremo - che la Federazione Russa vuole ristabilire con la forza la propria piena egemonia su quella parte perduta dell’antico impero sovietico.
Questo pericolo va ricordato a chi pensasse a radicalizzare l’attuale conflitto. Secondo un rapporto della Commissione dell’Unione europea sul commercio (ottobre 2018), l’Ucraina si colloca fra i primi cinque paesi dai quali l’Unione europea importa prodotti agricoli. L’Ucraina si trova inoltre al primo posto nelle dinamiche di crescita delle importazioni di prodotti agricoli provenienti dalla UE. Il servizio governativo di statistica ucraino, rileva che nel 2018 la UE è diventata nel suo complesso il maggiore partner commerciale del paese: il 42,6 per cento delle importazioni dall’Ucraina è stato esportato nella UE, per un valore di 16,2 miliardi di euro. Il relativo incremento rispetto all’anno precedente è stato del 15,7 per cento.
In un lontano passato ci furono perfino delle migrazioni italiane da quelle parti: andavano in cerca di lavoro naturalmente, e qualcuno finì per radicarsi lì, ma la maggior parte dei migranti andò dispersa nelle migrazioni interne o esiliata in altre regioni ai tempi di Stalin. Però oggi gli italiani che per antica discendenza o per affari recenti vivono lì, sono circa tremila. Non tanti, ma neppure pochi.


L’Ucraina è un paese in cui, di cognomi italiani, alcuni «russificati» nel tempo, ce ne sono parecchi; alcune attività economiche e perfino qualche carica politica sono nelle mani di italiani o di oriundi tali. Gli affari fra Italia e Ucraina non sono ingenti, ma neppure trascurabili. Diciamo pure che – a parte la considerazione che per l’Italia non conviene farsi dei nemici da nessuna parte – di un nemico ucraino non sentiamo proprio il bisogno. Perciò non sembra opportuno né lo schierarci a sostegno della politica imperiale di Vladimir Vladimirovich Putin, né il sostenere rischiosissime iniziative di contrasto nei suoi confronti. Quel territorio è assai lontano dai nostri confini, dalle finalità della «Nato» in cui siamo obbligati a intervenire quando ce ne fosse il bisogno in base al patto atlantico al quale aderiamo fin dalla sottoscrizione iniziale (34 aprile 1949). L’Ucraina ha all’incirca 44 milioni di abitanti, quindi il sostenere o partecipare a una politica militare da quelle parti, certamente non sarebbe un problema da poco.


Quello che succede non dovrebbe interessarci direttamente. Putin porta avanti una politica di sostanziale carattere imperiale ed è continuamente alla ricerca di recuperare qualche pezzo dell’impero sovietico disperso dalla storia e dalle iniziative di qualche suo predecessore. L’Italia invece ha bisogno di mantenere e sviluppare sempre più le proprie iniziative economiche.
Quanto all’Europa, la UE è apparsa inizialmente incerta. Alla interna divisione hanno contribuito le iniziali indecisioni della Francia e della Germania sul problema russo-ucraino. Quando Putin è uscito allo scoperto mostrando intenzioni armate di reminiscenza antica, Berlino e Parigi hanno cercato di riassestare il tiro in senso anti-russo. Ma la compatta unità di forza europea, non c’è stata, e adesso appare problematico ricostruirla. Sia detto fra parentesi: una politica estera di carattere unitariamente europea, non si era riusciti mai a costruirla, né essa potrebbe realizzarsi adesso, un po’ alla svelta.
Dispiace dirlo, ma un disegno di prospettiva e di revanche lo ha invece sempre coltivato Putin. Non meno pericolosa per la pace è però anche la tendenza di Washington nel contrastare, nei territori che furono dell’Urss, quegli uomini politici che non assecondassero supinamente i disegni americani, cercando perfino il modo di sottrarre a Mosca parti di quello che fu il grande impero sovietico.


Però da parte russa, il ritenere che la rievocazione di un disegno imperiale sia a lungo sostenibile, ha l’aspetto di un errore strategico. Altra cosa, anch’essa strategicamente sbagliata, sarebbe il sostenere interessi non europei e al di fuori dei patti sottoscritti dall’Italia. Perché non si può ignorare che la crisi attuale potrebbe dar luogo a pericoli molto gravi. Roma - a differenza di altre capitali - non sostiene organizzazioni straniere anti-russe. Ed è necessario che oggi l’Italia mantenga, anche nel contesto europeo, una linea di estraneità rispetto a questioni che non sono né d’interesse comunitario né d’interesse nazionale. Tenersi fuori dal conflitto in atto è insomma necessario.

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