I dati
Imprenditoria, al Sud perse 165mila imprese under 35
Presentata a Bari analisi di Confcommercio: cala il numero dei giovani
Dal 2011 a oggi sono scomparse in Italia 165mila imprese condotte da under 35, mentre il tasso di imprenditoria giovanile si è ridotto del 2,9%.
Sono alcuni dei dati contenuti nell’analisi dell’Ufficio studi Confcommercio intitolata «L'importanza dell’imprenditoria giovanile per il benessere economico» presentata ieri a Bari dal direttore dell’Ufficio Studi Mariano Bella, in occasione del Forum nazionale dei Giovani Imprenditori di Confcommercio.
«Senza questa perdita di imprese giovani - evidenzia l’analisi - oggi avremmo 42 miliardi di Pil in più e, se nei prossimi dieci anni questa quota di imprese crescesse del 5%, nel 2033 la quota di Pil aggiuntiva sarebbe pari a oltre 74 miliardi».
«L’analisi - è stato spiegato ieri a Bari - mira a dimostrare che la crescita del benessere dipende in modo cruciale dal tasso di imprenditoria giovanile, veicolo di innovazione, scommessa sul futuro, piena e responsabile assunzione del rischio di esplorare vecchi e nuovi problemi e sperimentare nuove soluzioni. Senza imprenditori, che quando entrano nel mercato sono quasi sempre giovani, la crescita economica si dissolve. Solo i giovani, e soprattutto i giovani imprenditori, possono imprimere una svolta alle tendenze in atto.
Serve un ritorno alla società imprenditoriale. E i giovani devono esserne i costruttori e i protagonisti».
Secondo il documento, «i risultati indicano che la quota di imprenditori giovani sul totale ha un impatto positivo e statisticamente significativo sulla crescita economica, a parità di altre condizioni: se in un anno e in una provincia la quota di imprenditori aumenta dell’1%, il Pil cresce dello 0,7% in più rispetto a uno scenario base in assenza di variazione della propensione giovanile all’imprenditoria».
Crisi demografica è un tema pericolosissimo soprattutto per il Sud: negli ultimi 10 anni tutta la perdita dei residenti in Italia, circa un milione, è perdita del Sud.
E tutta la perdita è perdita di giovani, con gli anziani che crescono. Il Mezzogiorno, in particolare, perde 3,3 milioni di giovani in 10 anni, quanto tutto il resto del paese e anche di più. Ma oltre alla demografia endogena il Sud soffre l’emigrazione e non è attrattivo per gli immigrati.
La riduzione del tasso di imprenditoria giovanile è costoso in termini di crescita della produttività dei fattori e di quella sistemica, quella che una volta si chiamava progresso tecnologico. Il perché può anche essere raccontato sulla base di uno scrutinio delle competenze e delle abilità della popolazione italiana per fasce di età.
Di solito ci si ferma all’utilizzo di internet e già si vede che lo scarto è ampio. Se poi si indagano le competenze e abilità su attività e ruoli complessi gli scarti raddoppiano o addirittura triplicano: sono gli imprenditori - e i manager, sia chiaro - che devono portare nel tessuto produttivo queste competenze. Senza o con meno giovani imprenditori stiamo semplicemente rinunciando alla crescita della produttività.
In termini prospettici queste evidenze dicono che se da domani e per i prossimi dieci anni la frazione di imprese giovani crescesse del 5%, con distribuzione uniforme nei prossimi 10 anni, a parità di altre condizioni, nel 2033 il PIL sarebbe maggiore del 3,5% rispetto allo scenario base (crescita dell’1%), pari a oltre 74 miliardi di euro aggiuntivi a prezzi costanti.
Quello che è mancato è l’attenzione ai giovani e alla giovane imprenditoria, la parte più vitale della società imprenditoriale, specialmente nel terziario di mercato e che, sola, può salvare il nostro Mezzogiorno. [red.pp]