L'intervista

I sette volti del Santo: Alessandro Barbero racconta il poverello d’Assisi

Livio Costarella

«Il tema del mio volume è che l’immagine di Francesco a noi arrivata sia una manipolazione»

Non un solo San Francesco, ma molti. Sette, per la precisione, come le versioni della sua vita che le fonti medievali ci hanno consegnato, ciascuna diversa, contraddittoria, a tratti persino opposta. È questa la chiave scelta da Alessandro Barbero per raccontare il Santo di Assisi, che nel 2026 sarà celebrato per gli 800 anni dalla morte. Nel volume San Francesco (Laterza, pp. 428, euro 20), lo storico piemontese ricostruisce un ritratto sfaccettato e sorprendente, lontano dall’icona tradizionale. Un lavoro che ha appassionato il pubblico del Teatro Petruzzelli di Bari, dove lo scorso 22 settembre l’incontro con Barbero - organizzato da Laterza - ha registrato il tutto esaurito.

Professore, nel libro lei parte addirittura dal parallelo tra Francesco e Mussolini. Perché?

«Il tema del libro è che l’immagine di Francesco che abbiamo sia il frutto di manipolazioni. Anche se mi limito a quelle duecentesche, il paragone col Duce di don Paolo Ardali nel 1926 fu così spudorato che mi è sembrato il modo migliore per introdurre l’argomento. Ne sono rimasto spiazzato anch’io, quando ho letto che ai tempi del fascismo lo paragonassero addirittura a Mussolini».

Che cosa emerge invece dai suoi scritti diretti, dalle Regole e dal Testamento?

«Avere testi autografi è un vantaggio enorme, ma non tutta la verità. Il Testamento è la sua versione finale, mentre nelle Regole vediamo i compromessi con i dignitari dell’Ordine. Eppure lì si colgono aspetti che gli stavano a cuore: per esempio la distanza dalle donne, che non coincide con altri episodi della sua vita».

Ogni biografo ha raccontato un Francesco diverso. Qual è il ritratto più sorprendente?

«Quello di Bonaventura, da cui nasce l’oleografia che tutti conosciamo: pensiamo ai fioretti o agli affreschi di Giotto. È la più diffusa, ma anche la più manipolante».

Nei ricordi dei compagni appare spesso duro e contraddittorio. È questo il suo vero volto?

«Non ho voluto costruire un personaggio coerente. Ho lasciato che ogni autore raccontasse il suo Francesco. E trovo credibile un uomo capace di rabbie furiose, di punizioni persino corporali, ma anche di straordinarie dolcezze, come quando si prende cura dei malati».

Possiamo dire che fosse anche in conflitto con sé stesso?

«Sì. Era tormentato dal dubbio di non aver fatto la cosa giusta. Creò un movimento che divenne un grande Ordine e poi si dimise, perché scoprì che era diventato qualcosa che non voleva».

E i frati hanno tradito il suo messaggio?

«Ci sono stati molti cattivi frati. Più che tradito, Francesco è stato messo da parte. Alcuni sono diventati vescovi, professori universitari, hanno vissuto in conventi ricchi. Non pensavano di averlo tradito: per loro era stato il punto di partenza di qualcosa che poi è diventato altro».

Le fonti francescane sono più ricche ma anche meno affidabili?

«Le vite dei santi non sono mai neutrali. Non interessava stabilire i fatti, ma il significato di quei fatti. E così si abbelliva, si modificava. Chi scriveva non era uno storico, ma un interprete».

C’è un episodio che considera particolarmente rivelatore di questa manipolazione?

«La distruzione deliberata, nel 1266, di tutte le biografie precedenti alla “Legenda maior” di Bonaventura. I frati volevano imporre un unico racconto ufficiale e cancellare gli altri. È un fatto impressionante, che ci dice quanto fosse contesa la memoria del fondatore».

Se dovesse scegliere un solo episodio “vero” di Francesco da tramandare, quale salverebbe?

«Ce ne sono tanti. La predica agli uccelli, che è vera, ci mostra un Francesco meraviglioso, immerso in una natura che è l’impronta del Creatore. Ma io sono affezionato anche a quelli in cui Francesco, per fare l’elemosina a una vecchietta, chiede ai frati di cosa dispongano. E loro dicono: “Nulla, abbiamo un Vangelo”. E Francesco: “Vendetelo! Dio sarà più contento così!”».

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