Domande e risposte
«Le mafie hanno consenso perché danno risposte», la «lezione» di Gratteri a Cellamare
L’allarme del Procuratore ospite del «Libro Possibile Winter»: l'intervista alla Gazzetta dopo la presentazione del saggio Il Grifone, scritto con Antonio Nicaso
CELLAMARE - Le mafie sono l’antitesi della libertà: possono essere combattute solo attraverso la conoscenza e l’onestà. Nicola Gratteri, dallo scorso settembre procuratore della Repubblica a Napoli, è un esempio del contrasto alle associazioni mafiose. Ospite ieri sera a Cellamare (Bari), nell’ambito del «Libro Possibile Winter», per presentare il suo ultimo libro, Il Grifone, scritto a quattro mani con Antonio Nicaso ed edito da Mondadori nel 2023, Gratteri è convinto che le mafie si stiano evolvendo vorticosamente e utilizzino per i loro affari degli strumenti sempre più avanzati e difficili da decifrare. La serata, promossa dalla direttrice artistica del Festival, Rosella Santoro, dal sindaco di Cellamare, Gianluca Vurchio, e da Maria Morisco, dirigente dei Licei «Cartesio» di Triggiano, e moderata dal giornalista Giancarlo Fiume, è stata anche l’occasione per inaugurare una biblioteca all’interno del Castello Baronale. Un gesto che sottolinea l’importanza della cultura, che può aiutare, soprattutto i più giovani, a comprendere il disvalore delle mafie e a fare la scelta giusta.
Procuratore, che idea hanno i giovani della mafia?
«Hanno consapevolezza di cosa siano le mafie, ma spesso non della loro pericolosità, perché vedono i figli dei rampolli sfoggiare sui social auto di lusso, orologi d’oro e abiti firmati per proporsi come modello vincente. Insomma subiscono una fascinazione, complici anche le serie televisive e i film di mafia che mostrano l’onnipotenza di queste famiglie senza che compaia un poliziotto, un carabiniere, un finanziere o un magistrato».
Lei, quindi, pensa che queste serie, peraltro così popolari, siano diseducative?
«Devastanti. Soprattutto quando, poi, noto all’ingresso delle scuole ragazzini vestirsi, parlare e atteggiarsi come il killer che hanno visto la sera prima in televisione».
Si può essere più convincenti con i ragazzi rispetto alle mafie?
«Certo, parlando il loro linguaggio e mettendo, per esempio, a confronto il compenso di un corriere di cocaina con quello di un idraulico. Non è il caso di fare discorsi moralisti, perché i ragazzi di oggi, mediamente, ascoltano soprattutto se si parla di soldi. E poi, pian piano, se siamo credibili, forse riusciamo a entrare nella loro testa».
Invece il cittadino comune cosa può fare per contrastare le mafie? Sappiamo che chi si volta dall’altra parte, per convenienza o paura, diventa complice.
«Può boicottare le attività commerciali gestite dalle mafie, isolare i colleghi borderline, le persone notoriamente mafiose o favoreggiatrici delle mafie e non s’hanno da accettare i loro inviti. Occorre iniziare a essere coerenti: tutti, a parole, sono contro le mafie, salvo poi andare alle loro feste».
Quali sono, oggi, gli interessi delle mafie?
«Le mafie dominano importazioni di tonnellate di cocaina e, con quei soldi, comprano ristoranti, pizzerie e latifondi, ma, prim’ancora, pagano hacker professionisti che siano in grado di estrarre monete elettroniche come bitcoin e monero, per poi riciclarle, senza lasciare traccia, nei paradisi fiscali e normativi».
Secondo lei oggi è più difficile combattere le mafie rispetto al passato?
«In questi ultimi anni notiamo un grande impiego delle tecnologie informatiche da parte delle mafie, mentre, al momento, le forze dell’ordine italiane sul piano tecnologico non sono competitive. Bisogna investire in corsi di formazione e assumere tecnici per combattere concretamente le organizzazioni mafiose».
Combatterle, però, non vuol dire sconfiggerle. Lei ritiene che questo sarà possibile un giorno?
«Con gli strumenti attuali sicuramente no. Va detto che le mafie sono un problema internazionale, che né il sistema giudiziario italiano né quelli europei sono in grado di risolvere. La mafia è una mentalità, un modo di pensare, di essere: è ben diversa dalla criminalità organizzata, perché ha bisogno del consenso popolare. E le mafie hanno consenso popolare, perché danno risposte. Clientelari, ma le danno».
Lo Stato cosa potrebbe fare per dare risposte?
«La cosa più semplice sarebbe creare sistemi normativi, modificare il codice di procedura penale e l’ordinamento finanziario, nel rispetto della Costituzione, costruire un sistema proporzionato alla realtà criminale, in modo tale che non sia conveniente delinquere.
Lei ha sempre pensato di combattere la mafia?
«Sì, perché quando andavo a scuola ho visto morti per strada e compagni morire ammazzati. Venendo da una famiglia umile, ma di persone oneste, di valori, mi sono detto che da grande avrei dovuto fare qualcosa».