estate a mezzogiorno
Il fascino del Cinema sotto il tappeto di stelle
Viste dal basso, le arene erano architetture dall’aria mediterranea: piccoli fortini metropolitani a difesa del sogno di un cinema popolare
«E ci arrivava l’eco di un cinema all’aperto»... Tra le tante suggestioni esistenziali che la musica di Battiato ci ha donato, quella evocata in Summer on a Solitary Beach è una memoria sonora cara ai cinefili. C’è stata un’epoca - erano gli anni ‘60 e ‘70 - in cui d’estate, a poter guardare le nostre città dall’alto, si sarebbe visto un mirabile spettacolo luminoso di grandi schermi cinematografici seminati qua e là tra i palazzi, accesi nei vari quartieri, tra un edificio e l’altro, davanti ai volti illuminati di spettatori accaldati, che per poche centinaia di lire compravano un sogno e una serata al fresco. Il film tutto sommato era irrilevante, o quasi: soprattutto in provincia, spesso si trattava programmazione di catalogo, le cosiddette «terze visioni» che i distributori vendevano a pacchetti ai gestori delle arene, a volte con copie che definire usurate è un eufemismo: ho ancora il ricordo di un Frankenstein contro l’Uomo Lupo che mi sbatté in faccia un posticcio cartello «FINE» nel bel mezzo dello scontro conclusivo tra le due creature, il cui esito per lunghi anni rimase per me un mistero... Sarà proprio per questo che amo quel film come pochi altri!
Viste dal basso, le arene erano architetture dall’aria inconfondibilmente mediterranea: piccoli fortini metropolitani o avamposti di paese a difesa del sogno di un cinema popolare che nutriva un immaginario semplice. Al posto delle torrette, le cabine di proiezione con l’accaldato proiezionista in canottiera di guardia sulla porta, la sigaretta in bocca e lo sguardo sullo schermo, attento a che l’immagine fosse a fuoco e la pellicola non si spezzasse. Fortilizi del cinema liberato nel fuori orario vacanziero, al calar delle tenebre delle ferie in città, unico spettacolo ore 21:00, anche se qualche arena azzardava il secondo spettacolo delle 23:00, per la gioia dei nottambuli e la disperazione del vicinato. Le arene: con le loro bianche mura punteggiate da portoni spesso in legno, che si spalancavano su perimetri a volte angusti, contenuti tra un palazzo e l’altro o nel cortile di un cinema, altre volte enormi, capaci di tenere molte centinaia di sedute. Se sbirciavi dentro, vedevi le file di poltrone in ferro battuto e qualche volta, con un po’ di fortuna, sullo sfondo intravedevi anche lo schermo: bianco, enorme, spesso in muratura, che all’inizio di ogni estate veniva imbiancato...
All’esterno, accanto a quei portoni, le candide mura si accendevano dell’accattivante, coloratissima promessa garantita dai «quattro fogli», come si chiama(va)no i magnifici manifesti 200x140 cm: Gasparri, Ciriello, Gèleng, Campeggi, Ballester, Cesselon... Intere generazioni di maestri cartellonisti hanno affidato i loro capolavori a quelle plance esposte al sole dell’estate. Quelle stesse mura custodivano gelosamente il segreto dei film in programmazione, i fotogrammi che inondavano lo schermo e accendevano lo spettacolo per il pubblico pagante, che - credetemi - a volte era davvero tanto, praticamente una folla: solo posti in piedi in arene da quasi mille posti... Qualche volta, per quanto alte fossero le mura, dalla strada si riusciva a intravedere uno spicchio di schermo, un angolo di luce baluginante sullo sfondo del cielo notturno. Piccolo furto di film, che però era davvero nulla rispetto a quello concesso ai fortunati che abitavano nei palazzi circostanti: seduti sui loro balconi, si godevano l’intero spettacolo gratis, in prima fila.
Del resto, questa cosa del furto di cinema - immagine così cinefila, così inconfondibilmente truffautiana - è un po’ la chiave d’accesso alla storia ideale del «cinema all’aperto»: che, anche solo nella sua dizione, contiene l’idea di una scatola magica scoperchiata, della mano golosa di un bimbo che solleva il coperchio di quello scrigno dei film che è una sala cinematografica, per sbirciarci dentro e scoprire cosa contiene... Il suono dei film, che nessuna parete, per quanto alta, poteva contenere, era la promessa di un sogno, l’attrazione incontenibile del desiderio di vedere quelle immagini che dalla strada riuscivi solo a sentire. E poi l’arena era una questione popolare, la traduzione nel tempo libero dell’estate, di un rapporto col cinema molto meno strutturato di quanto fosse nel tempo regolare dell’inverno. L’arena era uno spazio aperto, indifferenziato, l’approdo di un vagare senza meta nelle calde sere d’estate, in cui perdersi nella folla; i cinema invece contenevano i film e gli spettatori, erano il rifugio dal freddo e dalla salitudine delle sere d’inverno. La dimensione corale, indifferenziata, che caratterizzava i film visti nelle arene era la garanzia della popolarità del cinema che poi si sarebbe persa.
Avvicinandosi agli anni ‘80, il fenomeno si spense e si trasformò: nei paesi della provincia le arene scomparvero, nelle città uscirono fuori dalle mura, si spinsero ai margini estremi delle periferie o, al meglio, nelle aree turistiche, sulle litoranee e nelle stazioni balneari. Dove sono tuttora. Nelle metropoli la cultura dell’effimero elevava a potenza culturale l’idea del fuori orario che era implicitamente appartenuta alle arene e divenne coscienza cinefila a partire dall’esperienza dell’Estate Romana di Nicolini: la Basilica di Massenzio trasformò il cineclub in un immenso cinema all’aperto. Una stagione straordinaria, che farà da modello a quella del grandi festival che negli anni ‘80 e ‘90 animeranno tutto il Paese, spesso d’estate, spesso anche con le proiezioni serali all’aperto.
Del resto, se oggi il Festival di Cannes si picca di offrire al pubblico anche le proiezioni sulla spiaggia della Croisette, non va dimenticato che il format festival inventato nel 1932 da Conte Volpi vide programmare all’aperto le prime proiezioni di quella che allora era l’Esposizione Internazionale d’Arte Cinematografica, sulla terrazza dell’Hotel Excelsior del Lido di Venezia. E oggi nelle nostre città il rito continua: nelle corti dei castelli, nelle piazze, sulle spiagge... Le arene non ci sono quasi più (se volete vederne una che ancora oggi è esattamente come negli anni ‘70 andate all’Arena Ressa di Statte, in provincia di Taranto!). Ma il loro spirito, la loro voglia di liberare il cinema – le sue immagini, il suo suono... – nello spazio della vita, è ancora ben vivo.