L'estratto
Angeli e presepi, riaffiora sublime il genio artistico di Stefano da Putignano
Vittorio Sgarbi dedica al grande scultore pugliese alcune pagine dell’ultimo libro «Scoperte e rivelazioni» edito da La nave di Teseo
Esce oggi in libreria «Scoperte e rivelazioni. Caccia al tesoro dell’arte», l’ultimo libro di Vittorio Sgarbi edito da La nave di Teseo (pp. 512, euro 25). Lo storico dell’arte, in queste pagine, affronta un viaggio appassionante e avventuroso tra le numerose scoperte fatte durante tutta la sua vita, una sorta di diario e summa del suo lato di cercatore di tesori, ancora una volta impegnato in una «caccia» appassionata e inesauribile della bellezza. Pubblichiamo l’estratto del libro dedicato allo scultore pugliese Stefano da Putignano (1470 ca. - 1539 ca.).
Ho aspettato anni prima di rendere noto questo eccezionale Angelo di Stefano da Putignano (circa 1491-1538). Lo vidi, con stupore, nella collezione di oggetti prevalentemente devozionali di un amico di Assisi. Così lontano dai luoghi di origine, nella remota Puglia, questo angelo inginocchiato (pietra policroma 66×33×34cm) sembrava posato dal cielo, convocato a partecipare a un ideale presepe. Infatti Stefano, autore anche di altri memorabili angeli, come quello della chiesa di San Michele della sua città natale, e quello, imbellettato da novelle ridipinture, nella chiesa del Carmine di Grottaglie, non ha solo la sua cifra inconfondibile nel modellato a pieghe spigolose e in forme cristalline della pietra, ma nella ripetuta iconografia di angeli inginocchiati come scorta celeste della Sacra famiglia nei suoi popolosi presepi, nei quali scelse di specializzarsi in alternativa ai Compianti in terracotta dei suoi maggiori, Niccolò dell’Arca e Guido Mazzoni. In particolare, il primo dovette essere per lui un maestro inevitabile e irraggiungibile. E certo, benché lontano, il magistero e la memoria di Niccolò furono un riferimento per la sua scultura severa. Clara Gelao, la studiosa che avrebbe riconosciuto la presenza di Mantegna nella Sant’Eufemia di Irsina, osservava già, con coraggiosa verosimiglianza, che “i riferimenti più puntuali (dello stile di Stefano) siano da ricercare nella pittura padovano-squarcionesca e nei suoi riflessi sulla pittura ferrarese del secondo Quattrocento, dal primo Mantegna a Marco Zoppo, ai Vivarini, a Carlo Crivelli, a Ercole De Roberti e a Cosmé Tura”. E se, al tempo della sua fondamentale pubblicazione sull’artista nel 1989 la Gelao fa riferimento ai pittori squarcioneschi dell’Italia meridionale, come Cristoforo Scacco e Vincenzo De Rogata, e alla presenza di Guido Mazzoni in Puglia, proprio alla fine del 1492, in coincidenza con gli esordi di Stefano, dopo la scoperta della Santa Eufemia nel 1996, sicuramente padovana e sicuramente mantegnesca, le sue stesse intuizioni sulla formazione dello scultore, trovano, anche fuor di metafora, un terreno più fertile e vicino.
Sappiamo di un presepe in terracotta di Niccolò dell’Arca nella chiesa di Santo Spirito a Venezia e possiamo ritenere che anche il Mazzoni ne avesse concepito uno in Puglia. In quelli di Stefano da Putignano e della sua scuola (a Polignano a Mare, nella chiesa Matrice, e a Grottaglie nella chiesa del Carmine; ma anche, riferito ad Altobello Persio, nella cattedrale di Matera), vediamo angeli inginocchiati, con e senza festosi cartigli. Sono i fratelli di quello ora riapparso, prezioso per la buona conservazione e il tagliente modellato, e per le vistose tracce di policromia. Al confronto con quelli conosciuti, appare più sintetico e severo, in corrispondenza con lo stile dell’artista nel suo momento più alto e maturo, al tempo della Madonna con Bambino in trono incoronata dagli angeli, per la chiesa Matrice di San Nicola a Cisternino, datata 1517, ed eloquentemente firmata “Stephanus Apulie Poteniani Me Celavit”. Il riferimento, intensissimo, del verbo, è alla bella forma celata nella pietra ed estratta e rivelata dall’artista. Gli angeli, che coronano la Vergine, hanno la stessa espressione, la stessa forma del volto, le stesse onde dei capelli, oltre alle stesse piume delle ali di quello ritrovato, che allarga le braccia per far leggere la scritta sul cartiglio: “Tu in patrix angelorum...” Più avanti, già nella Madonna della cattedrale di Polignano a Mare, le forme dei suoi angeli si ammorbidiranno e si addolciranno, fino a diventare stereotipe, perdendo quella imbronciata e assorta espressione, per arrivare alla cifra imbambolata degli Angeli con la Madonna e il Bambino nella chiesa Matrice di Turi (1520), la cui consonanza con la Madonna con il Bambino di Alvise Vivarini, nella chiesa di Sant’Andrea a Barletta, conferma le intuizioni della Gelao sui rapporti con gli artisti veneti e padovani, contrastando le teorie critiche di chi, come Raffaele Semeraro, vedeva Stefano da Putignano in relazione a Domenico e Antonello Gagini, attivi in Sicilia; o, come Michele D’Elia, in dipendenza da Silvestro dell’Aquila. Un giorno, forse, scopriremo che il secondo grande scultore pugliese, dopo Niccolò dell’Arca, si era formato tra Venezia e Ferrara.