L’intervista

Dioguardi: «Cultura e impresa dialogano se si coltiva il sapere critico»

Enrica Simonetti

Oggi il forum organizzato da Confindustria e «Gazzetta»

Interrogarsi sui muri che ancora oggi separano due mondi «fratelli»: è questo il senso del primo dei quattro forum sul Sud dal titolo «Mezzogiorno di focus», organizzati da Confindustria Bari e BAT e dalla «Gazzetta del Mezzogiorno» con il sostegno di Intesa Sanpaolo. L'incontro si terrà oggi alle 17.30 a Bari, nell'ex Palaposte (piazza Cesare Battisti), moderato dal direttore della «Gazzetta» Oscar Iarussi. Vi parteciperanno alcune voci del panorama culturale nazionale come Massimo Bray (direttore dell’Enciclopedia Treccani) e Gloria Giorgianni (produttrice cinematografica di Rai Cinema), insieme a note personalità del mondo culturale e istituzionale pugliese fra cui Maria Piccarreta (segretario regionale del Ministero della Cultura), Ines Pierucci (assessora alla Cultura del Comune di Bari), Francesca Pietroforte (consigliera delegata alla Cultura della Città Metropolitana di Bari), Beppe Fragasso (vicepresidente dell’Istituto Nazionale di Architettura e vicepresidente di Confindustria Bari e BAT), Maria Laterza (direttrice della Libreria Laterza e coordinatrice del Club imprese per la Cultura), con gli interventi introduttivi del presidente di Confindustria Bari e BAT Sergio Fontana, del rettore dell’Università di Bari Stefano Bronzini e di Michelangelo Eleuteri di Intesa Sanpaolo. Al prof. Gianfranco Dioguardi, notissimo accademico, saggista, imprenditore di lungo corso, ma soprattutto uno dei fondatori dell'ingegneria gestionale in Italia, abbiamo posto qualche domanda sul tema cogliendo dalla sua lucida analisi la necessità di far dialogare i due universi della cultura e dell’impresa, in un panorama umano – spiega Dioguardi – che rischia di perdere l'immaginazione critica. Bibliofilo, lettore onnivoro in tutta la sua vita, Gianfranco Dioguardi ha creato il modello delle city school, dando vita a un filone di pensiero illuminato sulla gestione delle città e sulle sfide che si profilano nell'urbanistica, nell'organizzazione aziendale e in quella dimensione del Sapere che da sempre indica le strade verso il futuro. Perché la cultura insegna e regala molto più di quanto non si pensi.

Professor Dioguardi, lei parla e scrive di cultura e impresa... in un mondo che a volte è sordo rispetto a questi legami. A lei che milita da sempre in questa realtà, sembra che oggi la sensibilità sia aumentata? O i muri resistono?

«Purtroppo, i muri esistono ancora e resistono così da mantenere la cultura lontana dal pensare critico comune. In questo modo, lo scenario di Terzo Millennio si presenta sempre più oscuro e reso banale proprio da una pseudo cultura troppo facilmente fruibile grazie agli strumenti digitali, una cultura, quindi, che diventa assai superficiale e scorre sull’individuo come acqua di un torrente che non lascia tracce. Il mondo sembra ormai privilegiare la presenza di esseri umani sempre meno capaci di esprimere un sapere critico perché l’abitudine agli smartphone, ormai vere protesi insostituibili, finisce per affievolire o annullare facoltà fondamentali come la memoria e l’immaginazione critica».

I suoi studi sull'Illuminismo francese e italiano, le sue idee sul recupero urbano e sulle periferie, le sue battaglie per la forza propulsiva della cultura e del pensiero critico: come vede i nostri tempi? Quel Rinascimento del mecenatismo viaggia ancora su una strada in salita?

«In realtà se assimiliamo l’oggi a un nuovo Medioevo, il Rinascimento che dovrebbe sostituirlo mi sembra ancora lontano e comunque difficile da conseguire. Certamente non credo sia sufficiente il mecenatismo di pochi alla restaurazione, perché ritengo necessaria una azione attiva sul territorio inteso come sistema rete di soggetti che vi operano. E penso che il soggetto più adatto ad operare in tal senso sia proprio l’impresa produttiva, a patto che abbia la forza di cambiare adeguandosi alle nuove inedite situazioni. In primo luogo, recependo il suggerimento che un grande dell’organizzazione – il francese Michel Crozier – aveva fornito sin dagli anni Ottanta del secolo scorso: «L’impresa in ascolto» (Parigi 1989) sul territorio per raccogliere le istanze dei suoi partecipanti, rispondendo di conseguenza non soltanto con la propria produzione ma anche con una cultura critica propositiva di educazione sociale e riproposizione di valori etici ormai dispersi».

Le sfide del Terzo Millennio e le città alla ricerca della Bellezza: sui «Quaderni» della Fondazione Dioguardi, lei ha scritto di recente un testo in cui cita lo studio di Paul Dirac (1984) su «La bellezza come metodo». Cosa risponderebbe a chi fosse pronto a obiettare che la bellezza è lontana dalla politica e da città e periferie?

«Ritengo la bellezza uno dei valori etici fondamentali in grado di plasmare positivamente l’essere umano, seguendo il pensiero di Denis Diderot laddove, nel suo Traité du Beau, affermava «Une chose vraiment belle est assez ordinairement une chose bonne» («Una cosa davvero bella è altrettanto una cosa buona»). E comunque d’accordo con Dostoevskij e il suo ipse dixit: «La bellezza salverà il mondo».

Cosa manca oggi all'impresa?

«Leadership imprenditoriali attente e carismatiche, capaci di imporre un necessario turning point alle strategie aziendali, perché producano prodotti accompagnati da servizi in grado di esportare culture educative sul sistema territorio e, in particolare, anche sulle città, ormai da considerarsi imprese di grande complessità tipica di Terzo Millennio».

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