Il ricordo
Il «suo» Sud mai consolatorio e i coraggiosi Libri del Tempo
Alessandro e Giuseppe Laterza ricordano il rapporto dell’autore con la casa editrice
Quando ci lascia una persona, si tende a mitizzarla, a renderla eroica. E in queste ore fiumi di parole ci invadono, molte sicuramente necessarie a ritrarre il volto e l'anima di Eugenio Scalfari, intellettuale che ha segnato il Novecento, ma anche e soprattutto giornalista intuitivo, simbolo di quel giornalismo che ora appare quasi lontano, sfuocato, trasfigurato.
Ma Scalfari è stato o no un uomo del Sud? In questo articolo cerchiamo di rintracciare la significativa fetta di storia pugliese che nella sua lunga vita rischia di restare in ombra. Una storia legata alla sua collaborazione con la casa editrice Laterza e alla sua amicizia con Vito Laterza; ma anche una «vicinanza» meridionale in senso lato, perché il fondatore di Repubblica era davvero un meridionale, nato a Civitavecchia da genitori calabresi. Queste radici, sia pure lontane, sono emerse di tanto in tanto in ciò che Scalfari ha detto e scritto sul Mezzogiorno. Ne parliamo con Giuseppe Laterza, presidente della casa editrice, nonché figlio di Vito e con l'amministratore delegato Alessandro Laterza, a sua volta nipote del grande editore barese, che conobbe e strinse una profonda amicizia con Scalfari sin dagli anni Cinquanta. Entrambi ricordano episodi, libri, incontri personali. E il racconto, alla fine, rende un ritratto tutto da leggere, in cui emerge l'uomo, il suo pensiero e anche il suo cambiamento.
Giuseppe Laterza, quale il suo ricordo più diretto di Scalfari?
«La prima cosa che mi viene in mente è la telefonata che gli feci appena morì mio padre, nel maggio 2001. Mi disse parole molto affettuose e soprattutto mi colpì il modo in cui definì mio padre: un gentiluomo del Sud, con un suo stile e una sua caratura intellettuale che non avrebbe mai dimenticato. Furono parole importanti perché al di là della profonda stima, tra loro c'erano state anche divergenze, punti di vista diversi. Ma già dal 1955 il nome di Eugenio Scalfari compariva nel catalogo storico della casa editrice: si tratta di un pamphlet dal titolo “Petrolio in gabbia” scritto con Ernesto Rossi e Leopoldo Piccardi. All'epoca Scalfari era un giovane segretario della Fondazione de Il Mondo e dava corso a convegni e dibattiti. Questi diventarono libri che Laterza pubblicò: erano gli anni '49-'50, gli esordi di mio padre, che impresse una nuova linea alla casa editrice, con un impatto anche politico. E così le firme e il giro di rapporti coinvolsero i nomi importanti de Il Mondo, da Mario Pannunzio a Paolo Sylos, tanto per citarne alcuni. Ma poi erano anche rapporti di amicizia: mio padre si trasferì a Roma e avviò con questo gruppo contatti che erano anche personali; cene e incontri con Cederna, De Mauro, Napolitano, Rodotà e tanti altri».
Sfondo politico?
«Era quello dell'area culturale di liberali progressisti. L'Espresso che Scalfari fonda e poi Repubblica nascono come ideale continuità rispetto a quel periodo. Il primo numero di Repubblica aveva in prima pagina la pubblicità di un libro Laterza e questo segna un rapporto nel tempo. La nostra casa editrice ha pubblicato il suo pensiero ma anche quelli di tanti storici che scrivevano ad esempio per Il Giornale di Montanelli. Repubblica ha seguito un suo spirito militante con un progetto sicuramente innovativo».
E ha continuato così?
«Finché c'era lui sicuramente, poi è complicato analizzare, anche perché sono cambiati i tempi. Ma Repubblica ha fatto compiere passi in avanti anche sui diritti, anche laddove la sinistra era un po' più lenta. Era un interlocutore forte e il giornale ha svolto un grande lavoro. Ad esempio ha tenuto alta la battaglia contro il conflitto di interessi di Berlusconi, con la concentrazione di potere politico ed economico».
E sul Sud?
«La cosa che lo rendeva molto simile a mio padre, secondo me, era una visione mai consolatoria del Mezzogiorno. Da meridionali hanno sempre sostenuto che il Sud fosse un'opportunità per il Paese, ma i nodi andavano risolti dagli stessi meridionali, prendendo in mano direttamente la situazione. Mai vittimismo: il Sud da cui vengono mio padre e Scalfari non è Napoli, che rimpiange un grande passato, ma è idealista e concreto al tempo stesso».
E per Alessandro Laterza, quale l'identità di Scalfari?
«Anzitutto trovo evidente il rapporto con la casa editrice Laterza. Ma dividerei due momenti fondamentali. Il primo, quando Scalfari fa riferimento al Il Mondo di Pannunzio ed è punto di incontro molto forte, di particolare interesse. Appaiono in questo tempo I libri del Tempo, una collana che da 1955 al 1963 fa comparire ben sette volumi con la firma di Scalfari. Ritengo importante anche l'ultimo, quello intitolato “Storia segreta dell'industria elettrica”, appunto del '63, così come interessante è il “Rapporto sul neocapitalismo in Italia” del '61».
E dopo questi esordi?
«Il rapporto è continuato ed è stato sempre di proficua collaborazione e stima. Lo Scalfari fondatore di Repubblica è un uomo certamente geniale con grande intuizione giornalistica; anche in questa fase il rapporto con noi è rimasto forte, anche se io credo che da lì sia cominciato un nuovo periodo di vita. Io ad esempio ricordo che negli anni '80 Scalfari era una specie di pontefice, quasi parlava da capo di una forza politica. Una forza che il giornale esprimeva, con la capacità di influire e correggere. Ho la memoria viva di uno Scalfari che sembrava impartire lezioni di politica estera a eminenti politici. Incuteva reverenza negli interlocutori che evidentemente temevano i suoi fulmini. Questo mix di autorevolezza e di potere lo ha caratterizzato».
Il suo giudizio sembra più caloroso verso il primo Scalfari...
«Sì, in effetti ho molta simpatia per la stagione che va dal ‘55 al ‘63 e per quegli scritti importanti che abbiamo pubblicato come casa editrice. Ovviamente, il rapporto è stato saldo anche in seguito e prosegue, così come resta indelebile la memoria».