L'intervista

Boccia: Juve fragile senza Chiesa e Pogba. Il nuovo Pd? Con il 4-2-4

Stavolta è il senatore dem «Il politico nel pallone», tra debacle della Vecchia Signora e nuove prospettive del partito

Senatore Francesco Boccia, tra i leader dem, è dura commentare la serie A dopo la debacle della Juventus a San Siro col Milan. Che succede alla Vecchia Signora?

«La Vecchia Signora per dirla alla  ‘Dickinson’ sulla vecchiaia, con gli anni non diventa più vecchia ma la sua forza è sempre stata la capacità di essere la più nuova. Altrimenti non si ispirerebbe a un valore e a una speranza universale come la juventute. La Juve è l’unica squadra non legata interamente a una città ma all’Italia intera. Purtroppo dopo la fine del ciclo dei 9 scudetti non è partito un nuovo corso. Ora serve pazienza per ricominciare. Le vittorie arriveranno, siamo la Juve».

I successi con Bologna e Maccabi avevano generato illusioni.

«Quando ci sono delle difficoltà raramente si superano in una o due partite. Dobbiamo soltanto lavorare, lavorare duro e i risultati quando la rosa sarà al completo, ci saranno».

In questi casi sulla graticola finisce l’allenatore Allegri…

«È il difetto del calcio italiano, quando si vince l'allenatore è il migliore in circolazione, quando si perde è il responsabile della crisi. Credo sia più giusto, in ogni caso, attribuire meriti e demeriti a tutta la squadra, allenatore compreso. Ricordo che siamo dall’inizio della stagione senza Pogba e Chiesa».

La sua passione per la Juve come nasce?

«Fin da bambino: abitavo di fronte allo stadio del Bisceglie, il Gustavo Ventura, e respiravo aria di calcio tutta la settimana. Vengo da una famiglia di interisti, mio padre, mia sorella, mio nonno, tutti interisti, ma la Juve l’ho tifata da piccolo grazie a due persone che non ci sono più e ho sempre nel cuore: mio zio Cesare, fratello di mio padre e grande tifoso juventino, e un amico di famiglia, Rino, che mi raccontava storie straordinarie sulla Juve di Sivori e Boniperti. Poi a sei anni, nel 1974 mio padre mi portò ad Avellino a vedere una partita di Coppa Italia vinta dalla Juve 2-1. Fu amore a prima vista».

Da presidente della Commissione Bilancio e anche dello Juve club Parlamento commemorò Gianni e Umberto Agnelli a dieci anni dalla scomparsa.

«Sì, Gianni Agnelli morì nel 2003, mentre Umberto nel 2004. È stata una bella iniziativa: ripercorremmo, insieme ad Andrea Agnelli, la loro storia parlamentare e, parallelamente, il loro impegno nel calcio e la loro passione per la Juve. Per gli juventini il legame con la famiglia Agnelli resta inscindibile».

Quale squadra ha amato di più?

«La Juve di Platini. In camera avevo il poster: Tardelli, Platini e Rossi erano gli eroi dell’adolescenza. Oggi che di Marco Tardelli sono amico quel ricordo si ravviva spesso anche con i suoi racconti che io rivivo come fossero oggi».

Il campione preferito?

«Ho sognato con i gol di Bettega, Platini rappresentava il mito assoluto anche se il cuore italiano dopo i mondiali del 1982 mi portava sempre a sentirmi legato a Tardelli e Rossi».

Ha un passato da calciatore di cui parla con orgoglio…

«In gioventù era l’unica cosa che sognavo di fare. Ho giocato da ragazzino, prima per strada come tutti all’epoca, nei campetti di periferia e poi dagli esordienti in avanti e per sette anni al Don Uva Bisceglie e infine nel Bisceglie. Ero un attaccante poi a 20 anni tra il calcio e l’università, ho scelto lo studio. Ma valori e compagni di squadra non si dimenticano mai. Molti li sento ancora».

Intanto il Bari è in vetta alla B.

«Un orgoglio. È una bella squadra, un mix di esperienza come Mirco Antenucci, centravanti molto forte, e giovani talentuosi come Walid Cheddira o Elia Caprile, già nazionale Under 21. Complimenti alla famiglia De Laurentiis per i risultati ottenuti».

È più difficile riportare la Juve in vetta o rigenerare il Pd con il congresso alle porte?

«Direi che Juve e Pd attraversano un momento parallelo non semplice ma hanno storie e radici così profonde che ci consentiranno di venirne fuori ancora più forti di prima».

Che schema dovrebbero ora adottare i dem?

«Non sono mai stato un fan del catenaccio o del gioco di rimessa. In campo ho sempre amato giocare all'attacco, prendendo anche qualche rischio, ma è il bello del calcio, no? E questo penso debba valere anche per il Pd, da rilanciare con il 4-2-4».

Nella stagione giallo-rossa lei è stato un centromediano metodista che tesseva i rapporti con i grillini. Nel post voto che ruolo sceglierà?

«Se nella vita calcistica sono stato un attaccante, nel post 25 settembre credo che tornerò il mediano cantato da Ligabue, "con dei compiti precisi, a coprire certe zone, a giocare generosi e a recuperar palloni…". In questo momento nel Pd serve tanto coraggio per ripartire insieme e per riscoprire l'orgoglio di essere una comunità».

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