Il caso

«Voi non sapete chi sono io»: estorsione agli avvocati, cliente di Ostuni finisce a processo

Fabiana Agnello

«Sono brutto, brutto», così l'imputato in aula. L’uomo rivoleva indietro la parcella data ai legali perché difendessero suo zio

«Voi non sapete chi sono io. Sono brutto, brutto, brutto». È la frase riecheggiata più volte ieri nell’aula del tribunale di Brindisi, in composizione monocratica davanti al giudice Simone Falerno. A pronunciarla, riprendendo le parole dell’imputato, le due persone offese - l’avvocato Mariangela Calò del foro di Lecce e l’avvocato Angelo Brescia del foro di Brindisi -, vittime la prima di una tentata estorsione, la seconda di una consumata.

A commettere i reati, aggravati dall’averli perpetrati in regime di affidamento in prova, sarebbe stato l’unico imputato, Paolo Punzi, 53enne ostunese, già noto alle forze dell’ordine, difeso dagli avvocati Danilo Cito e Giovanni Zaccaria.

Titolare del fascicolo è il pm Giovanni Marino. Nell’udienza di ieri (rito ordinario), lo Stato è stato rappresentato dal vice procuratore onorario Stefano D’Amico. L’avvocato Calò, da cui è partita la denuncia, non ha potuto costituirsi parte civile perché decorsi i termini.

I fatti risalgono al 2021 quando l’avvocato Angelo Brescia assisteva Luciano Sasso (estraneo a questo procedimento), zio dell’imputato Punzi, con la collaborazione dell’avvocato Mariangela Calò. A seguito della prestazione professionale per Sasso, gli avvocati ricevettero il bonifico di 5 mila euro come parcella (2.500 euro ciascuno).

«Mi ha contattato Punzi il 26 marzo 2021, mi ha detto: “Io sono brutto, brutto, non devi venire a Ostuni e a Brindisi, altrimenti ti succede qualcosa di grave”», ha raccontato nella propria testimonianza l’avvocato Mariangela Calò. «Avvocà, quei soldi me li devi dare, altrimenti è meglio che li dai in beneficenza - ha proseguito il legale raccontando della telefonata intercorsa tra lei e l’imputato, nella quale Punzi ha proferito espressioni gravemente offensive, denigratorie e minatorie -. Punzi in quel periodo era sottoposto a misura. Per telefono forse gli ho detto che l’avrei denunciato». L’avvocato di Lecce ha raccontato di aver temuto per la sua incolumità e dei suoi familiari. Lei era incinta al nono mese e il giorno in cui ricevette la telefonata di Punzi iniziò ad avere le contrazioni.

«Era preoccupato - ha raccontato l’avvocato Calò, rispondendo alla domanda del vpo D’Amico sullo stato d’animo del collega Brescia -. Mi disse: “Sto avendo problemi. Punzi mi ha chiesto di andare a prelevare la somma di 2.500 euro e sono stato costretto a prelevarla. Ha detto che i soldi dovevo darli a lui. Conosco la caratura criminale di Punzi”. Punzi aveva monitorato la situazione e quando abbiamo ricevuto il bonifico, il suo atteggiamento è cambiato».

Poi sul banco dei testimoni è salita l’altra persona offesa, l’avvocato Angelo Brescia. «Ho fatto di tutto per non stare qui, ma sono qui», ha detto. «Con Sasso ho concordato la somma, non con Punzi. Punzi sapeva tutto, passo passo. Era un casino per ottenere il pagamento della parcella e siccome aveva rapporti con lo zio, ha collaborato con me per trovare la soluzione al pagamento. È andato tutto bene. Poi mi ha detto: “Sono arrivati i soldi? Ok, prendili e portameli”. E gli ho detto: “Scusa, perché?”. E lui mi ha risposto: “Ve li devo dare io. Mio zio non è ancora uscito e devo darli io. Ho prelevato i soldi, 1.950 euro, e il resto gliel’ho dato in contanti. E poi voleva quelli della collega. Mi ha chiamato “infame” quando l’ho incontrato in un tabacchino. E mi ha tolto il saluto. Probabilmente la situazione non era più normale. Mi sentivo responsabile con la collega. Volevo calmierare la circostanza ed evitare un processo penale».

Il vpo ha letto le dichiarazioni dell’avvocato Brescia, sentito a sommarie informazioni testimoniali: «Punzi si arrabbiò con me per aver fatto il bonifico di 2.500 alla collega senza averglielo detto. Mi cacciò di casa. Punzi Paolo non mi dava il tempo di allontanarmi, ebbi paura. Lui si arrabbiò perché voleva tutti i soldi. Quella stessa sera mi inviò dei messaggi in cui pretendeva i soldi e che io e la collega non sapevamo contro chi ci eravamo messi. Che lui era brutto, brutto, brutto». L’avvocato Brescia non ha ricevuto i soldi indietro.

Il processo si aggiorna al 9 luglio.

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