la battaglia

Scu, Antonio Epicoco bloccato nella sua cella a Bari: «Pesa 160 chili, non può restare in carcere»

fabiana agnello

Il 52enne di Tuturano è legato all’omicidio Nicolai Lippolis, l’uomo sparito nel 1998 di cui furono ritrovati i resti in Montenegro 11 anni dopo

«Ernie intrasponginose di schmorl nei metameri del passaggio dorso-lombare, ipertensione arteriosa, obesità (160 chili), diabete mellito, patologie di natura cardiologica e altre. Tutte che descrivono un quadro diagnostico suscettibile di aggravamento se non opportunamente monitorato e tutelato, assolutamente incompatibile con il regime carcerario». Questo è lo stato di salute del detenuto Antonio Epicoco - ristretto nel carcere di Bari -, assistito dall’avvocato Cinzia Cavallo che sta lottando affinché al proprio cliente sia riconosciuta la dignità umana. Molti ricorderanno il nome del 52enne di Tuturano perché legato all’omicidio di Nicolai Lippolis, l’uomo sparito nel 1998 e di cui furono ritrovati i resti sotto un ponte a Bar, in Montenegro, undici anni dopo. Omicidio su cui fece luce il pentito Ercole Penna, raccontando le dinamiche interne alla Scu nelle quali era maturato il delitto. Epicoco ed Emanuele Guarini, i due esecutori materiali dell’assassinio secondo i giudici, furono condannati a 30 anni di reclusione. Oggi, lo stato in carcere di Epicoco solleva interrogativi profondi sul rapporto tra giustizia penale, dignità umana e tutela della salute. Non si tratta solo di un caso giudiziario, ma di una questione etica e costituzionale che tocca il cuore dello Stato di diritto. Circostanza analoga a quella del detenuto Francesco De Leo, 51enne mesagnese imprigionato per sempre nella sua cella di Torino, dove è stato trovato senza vita il 20 ottobre scorso.

«Il Tribunale di sorveglianza di Bari, il 28 ottobre scorso ha rigettato le istanze difensive di rinvio dell’esecuzione della pena e, in subordine, di detenzione domiciliare, per Antonio Epicoco», prosegue Cinzia Cavallo. Che aggiunge: «Il tribunale ha ritenuto che le patologie di Epicoco siano monitorabili e sottoponibili alle adeguate cure all’interno dell’istituto penitenziario di Bari o all’interno di altro istituto penitenziario, quello di Cagliari, dove è stato disposto il trasferimento (non ancora eseguito) del condannato». Nella perizia medico-legale richiesta dal Tribunale di sorveglianza si legge, ancora, che Epicoco presenta piaghe da decubito a livello di inguine e schiena; che ha difficoltà ad accedere agli ambienti della casa circondariale e agli stessi servizi igienici, sia a causa dell’impossibilità di deambulare che per la dimensione delle porte; che l’uomo è costretto a trascorrere l’intera giornata sul letto o sulla sedia e che non è autosufficiente neppure per quanto concerne la propria igiene personale; che gli risulta difficoltoso parlare, a causa della respirazione sibilante. Epicoco non deambula da circa due anni, in seguito a cadute negli altri istituti penitenziari. «La pena non si può risolvere in un trattamento inumano e degradante: deve essere assicurato ai detenuti quel livello di dignità dell’esistenza», conclude il legale. Un caso, dunque, che invita a ripensare il significato di pena, il ruolo delle istituzioni penitenziarie e il dovere dello Stato di proteggere la vita e la salute di ogni individuo, anche quando si tratta di un condannato.

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