Il caso
Francavilla Fontana, 44enne ucciso dal padre: «Mio figliò era già malato, non morì per le coltellate»
Angelo Argentina vuole patteggiare 3 anni: decisione a ottobre
Non furono le coltellate inflitte dal padre ad ammazzare il figlio Stefano, di Francavilla Fontana, ma altre patologie del 44enne. Dunque, non si trattò di omicidio volontario ma di lesioni gravissime aggravate per le quali l’avvocato Massimo Romata, che assiste il 77enne Angelo Argentina, ha richiesto il patteggiamento concordando una pena di tre anni con il pm Alfredo Manca. Su tale tale accordo si esprimerà il gup del tribunale di Brindisi, Barbara Nestore, il prossimo 21 ottobre.
Il dramma familiare risale al pomeriggio del 12 marzo scorso, in contrada Cicoria. Non era la prima volta che padre e figlio litigavano, avrebbero raccontato alcune persone informate sui fatti. Dai toni accesi, in altre occasioni, erano passati anche alle mani. Ma mai come in quel pomeriggio di marzo, quando tra i due spuntò un coltello, di quelli che si utilizzano per svolgere lavori in campagna. Arma, a oggi, non ancora ritrovata.
Le questioni oggetto delle frequenti liti sarebbero da attribuire ai problemi certificati di alcol e di tossicodipendenza di cui soffriva il figlio 44enne Stefano che, ultimamente, chiedeva al padre Angelo di utilizzare la sua auto per spostarsi. La propria gli era stata sequestrata giorni prima a Brindisi, perché trovato alla guida con un tasso alcolemico superiore al consentito. Episodio di cui il padre pare non fosse a conoscenza.
Ma i problemi relativi allo stato di salute dell’uomo non sarebbero da attribuirsi solo alle dipendenze, ma anche ad altre patologie. Almeno, questo è quello che emerso dall’autopsia eseguita sul corpo del giovane dal medico legale Domenico Urso. Ma andiamo con ordine.
Quel pomeriggio del 12 marzo a recarsi in contrada Cicoria, dove vivevano Angelo, noto agricoltore del paese, e il figlio Stefano, furono i carabinieri del Nor insieme all’ambulanza del 118, che trasportò il 44enne in codice rosso prima all’ospedale Camberlingo e poi al nosocomio brindisino Perrino. Stefano venne sottoposto a una delicata operazione. Il giorno successivo, il 13 marzo, morì nel reparto di Rianimazione.
Il padre Angelo, nel frattempo, venne arrestato - con l’accusa di omicidio volontario aggravato dal rapporto di parentela - dai carabinieri e trasferito nel carcere di Brindisi. Almeno due i fendenti sferrati all’addome del figlio. Comparso davanti al gip Vittorio Testi, raccontò di essersi difeso dal figlio e che non era lui a impugnare il coltello.
Il pm Alfredo Manca affidò l’incarico di eseguire l’autopsia al medico legale Domenico Urso. Quel giorno furono presenti anche il medico Donato Sardano, nominato dall’avvocato Massimo Romata, e il collega Giovanni Taurisano, nominato dall’avvocato Michele Fino, che assiste i quattro figli di Stefano Argentina. Inoltre, fu presente anche la genetista Giacoma Mongelli, nominata dal pm Manca per escludere la presenza di terze persone sulla scena del delitto e che pertanto analizzò i dna.
All’esito dell’autopsia, il medico legale Domenico Urso verbalizzò che la morte del 44enne non era da attribuirsi ai fendenti sferrati presumibilmente dal padre Angelo, ma ad altre patologie.
Dunque, l’accusa per il 77enne è passata da omicidio volontario aggravato dalla parentela a lesioni gravissime aggravate. Da qui, la richiesta di patteggiamento con tre anni di pena concordata tra l’avvocato Romita e il pm Manca, che dovrà passare dalla valutazione del gup Barbara Nestore.