La vicenda
Fasano, costretto a restare in carcere perché manca il braccialetto elettronico
Il giudice per le indagini preliminari aveva concesso i domiciliari a un 46enne accusato di maltrattamenti
FASANO - È restato in carcere quindici giorni in più perché il braccialetto elettronico non era disponibile. Di conseguenza, nonostante il gip gli avesse concesso gli arresti domiciliari, il 46enne fasanese che il 14 settembre scorso è finito in carcere per presunti maltrattamenti alla moglie è restato dietro le sbarre. Il primo braccialetto elettronico si è reso disponibile mercoledì. Non c’era altra soluzione: il gestore del servizio, Fastweb, ha comunicato agli uffici giudiziari brindisini di non essere in grado al momento di fornire il braccialetto elettronico. Il gip Vittorio Testi, il giudice che accogliendo la richiesta dell’avvocato Pasquale Di Natale, difensore dell’indagato, aveva disposto l’attenuazione della misura cautelare a carico del 46enne fasanese, ha preso atto della cosa. Il presunto autore dei maltrattamenti alla moglie è rimasto in carcere sin da mercoledì. Intanto a suo carico è stato disposto il giudizio immediato. Comparirà dinanzi al tribunale di Brindisi in composizione monocratica il 18 novembre prossimo.
Nessun colpo di scena. Succede in ogni angolo del Paese: sempre più sovente capita che non ci siano braccialetti elettronici disponibili. La conseguenza è che ci sono persone che restano in carcere anche se potrebbero uscire. Se è vero, come è vero, che la Corte di Cassazione ha sancito che l’indisponibilità del braccialetto elettronico comporta l’applicazione degli arresti domiciliari «semplici», è altrettanto vero che a questo principio ci sono una serie di deroghe. Deroghe che, come nel caso del 46enne fasanese, scattano quando si tratta di reati di violenza di genere e maltrattamenti in famiglia.
Il pm titolare del fascicolo di indagine, il sostituto procuratore della Repubblica Giovanni Marino, ha depositato la richiesta di arresto del 46enne fasanese l’11 settembre scorso. Il gip ha firmato il provvedimento dopo due giorni. E ha optato per la misura cautelare più afflittiva: il carcere. La legge c’è. Si chiama Codice rosso. Prevede una corsia veloce e preferenziale per le denunce e le indagini riguardanti casi di violenze e maltrattamenti in famiglia. Dopo l’interrogatorio di garanzia il difensore dell’indagato è riuscito a ottenere dal gip l’attenuazione della misura cautelare: arresti domiciliari (ovviamente in un’abitazione diversa da quella della moglie) con braccialetto elettronico.