il caso

Omicidio Carvone, il perito della difesa: «Il 19enne morì per un caso sfortunato»

Stefania De Cristofaro

Giampiero Carvone, ucciso a 19 anni, a colpi di pistola, nella notte tra il 9 e il 10 settembre 2019, davanti al portone della sua abitazione, secondo la difesa sarebbe stato colpito perché scivolò.

BRINDISI - «Per un caso sfortunato la fatalità ha voluto che Giampiero Carvone scivolasse. Dunque, è stato attinto da un proiettile con traiettoria dal basso verso l’alto». Sono le conclusioni a cui è arrivato il perito balistico Roberto Lazzari, nominato dagli avvocati Cosimo Lodeserto ed Emanuela De Francesco, difensori di Giuseppe Ferrarese, unico imputato per l’omicidio di Giampiero Carvone, ucciso a 19 anni, a colpi di pistola, nella notte tra il 9 e il 10 settembre 2019, davanti al portone della sua abitazione, in via Tevere, nel rione Perrino di Brindisi.

La perizia di parte è stata illustrata lo scorso 9 luglio ai giudici della Corte d’Assise, presieduta da Maurizio Saso (a latere Adriano Zullo) e alla pm della Dda di Lecce, Carmen Ruggiero, che ha ottenuto il processo nei confronti di Ferrarese, in carcere dal 27 giugno 2022, contestando tre aggravanti: la premeditazione, i futili motivi e l’aver agevolato l’associazione di stampo mafioso Sacra corona unita.

Lazzari ha eseguito una “ricostruzione balistica in merito ai rilievi e alle foto” del verbale di accertamento della divisione anticrimine del Gabinetto della polizia scientifica di Brindisi, in collaborazione con il perito balistico e avvocato Pino L’Annunziata. «Il corpo è stato attinto alla fine del sottopassaggio, a una distanza di 23 metri dall’inizio del tunnel dove sono stati trovati i bossoli. Era prono, la con testa rivolta verso il marciapiede e i piedi verso l’ingresso dell’abitazione».

Ferrarese, stando a quanto riferito da Lazzari, avrebbe sparato tre colpi di pistola «con un angolo di tiro di circa 90 gradi verso il basso». Un proiettile «già esploso è stato rinvenuto all’interno dell’auto perforando la carrozzeria in basso», dal lato dello sportello del conducente. Il perito ha fatto riferimento a una Mercedes classe A parcheggiata nei pressi del portone. Il secondo proiettile «deflagrato dalla pistola, con lo stesso angola di tiro, di circa 90 gradi verso il basso, per logica balistica è sicuramente quello che ha effettuato il passaggio intracranico». E «una volta disperso il 40 per cento circa dell’energia cinetica è andato a impattare sul parafango posteriore, in basso dell’auto, dove ha prodotto soltanto una scalfitura non avendo più l’energia sufficiente in grado di perforare le lamiere come il precedente». Il terzo proiettile - ha spiegato il perito di parte - ha «impattato il vetro deflettore posteriore» ed è stato rinvenuto «frammentato e quasi esploso».

Carvone, in questa ricostruzione, sarebbe scivolato e sarebbe stato raggiunto dal secondo colpo esploso da Ferrarese. Il perito ha poi spiegato che nell’esplosione, con una sola mano, di tre colpi in successione, il polso tende ad alzarsi per effetto del «rinculo del carrello otturatore dell’arma». Pistola che non è mai stata trovata. Ha sottolineato che Carvone «non è stato attinto dal proiettile in posizione eretta, altrimenti, se fosse stato in piedi, i successivi punti d’impatto sull’auto, non avrebbero potuto trovare corrispondenza».

L’altro perito di parte, il medico legale Walter De Nitto, ha spiegato che sul corpo di Carvone c’erano segni sul fianco destro, compatibili con una caduta. E che la traiettoria dei proiettili è stata lineare, partiti da 22 metri.

Per i difensori, le perizie sono rilevanti perché in grado di modificare l’imputazione: non omicidio volontario, ma preterintenzionale. Ferrarese, rilasciando dichiarazioni spontanee a fine novembre scorso, disse che l’arma non era la sua, ma di Carvone, ammise la litigata per un furto d’auto e aggiunse di aver sparato per farlo allontanare e non «per fargli male». Avrebbe puntato alle caviglie.

Secondo l’accusa, Carvone sarebbe stato «promesso ad Andrea Romano, capo dell’omonimo clan di Brindisi, tramite un affiliato» e avrebbe «pregiudicato gli interessi dei gruppi» che controllavano la città agendo come «cane sciolto, fuori delle regole e in violazione del vincolo di omertà». Sarebbe stato ucciso perché avrebbe indicato Giuseppe Ferrarese come suo complice “nel furto dell’auto”, avvenuto la mattina precedente.

La pm, in fase di controesame, ha posto domande sul curriculum professionale di Lazzari che si è occupato, tra gli altri, del caso del dj Ivan Ciullo, il 34enne trovato morto a un albero nelle campagne di Acquarica (Lecce), per conto della famiglia, sostenendo che non si trattasse di suicidio. Quel fascicolo inizialmente era della pm Ruggiero. La sostituta procuratrice ha poi chiesto che tipo di ricostruzione avesse seguito il perito contestando il ragionamento balistico perché non è stata considerata una variabile fondamentale per la rappresentante della pubblica accusa, come la decisione relativa all’altezza da cui sparare. Mancherebbe l’analisi della volontarietà.

Parti civili sono la mamma, il papà e la nonna di Carvone, rappresentati in giudizio dall’avvocato Marcello Tamburini.

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