Le dichiarazioni
Omicidi Cairo e Spada a Brindisi: «Massimiliano si è montato la testa, pensa di essere Scarface»
Cosimo accusa il fratello «collaboratore di giustizia»: «All’inizio era solo uncontrabbandiere poi si è messo a vendere 20-30 chili di cocaina al mese»
BRINDISI - Mio fratello Massimiliano, il pentito, si è montato la testa e adesso pensa di essere Scarface. Perché? All’inizio era soltanto un contrabbandiere, poi si è messo a vendere 20-30 chili di cocaina al mese, tante altre schifezze faceva. Mi vergogno pure a dirle. Lui voleva dominare il mondo. Su di me ha detto cose false: è pazzo, geloso e invidioso di tutto».
Cosimo Morleo ha consegnato alla Corte d’Assise la sua descrizione del fratello Massimiliano, collaboratore di giustizia, che lo accusa degli omicidi degli imprenditori Salvatore Cairo e Sergio Spada, entrambi attivi nel settore delle pentole e degli articoli per la casa, il primo avvenuto il 6 maggio 2000 e l’altro l’11 novembre 2001. Per il pm della Dda di Lecce, Cosimo Morleo, sarebbe stato il mandante, mentre l’altro fratello, Enrico, l’esecutore materiale. Omicidi premeditati e consumati con metodo mafioso per eliminare concorrenti scomodi per Cosimo Morleo. Omicidi rispetto ai quali entrambi gli imputati, ristretti in carcere da marzo dello scorso anno, si sono professati innocenti. Enrico Morleo ha ammesso di aver distrutto, facendolo a pezzi con una sega, il cadavere di Cairo, sostenendo di averlo trovato alla legnaia in cui lavorava all’epoca, e di aver dato fuoco ai resti, alcuni riemersi il 20 dicembre scorso, da un pozzo profondo una quindicina di metri, che si trova in un terreno di campagna a sud della zona industriale di Brindisi, dove ha condotto i giudici della Corte e il pm.
Rispondendo alle domande del presidente della Corte d’Assise, Maurizio Saso, rispetto alla scomparsa di Cairo, l’imputato, difeso dagli avvocati Luca Leoci ed Elvia Belmonte, ha detto di «non aver mai dato incarico» al fratello Enrico di «fare l’omicidio». E di non sapere spiegare per quale motivo il cadavere venne trovato nella sua azienda e perché il fratello lo fece a pezzi. «Posso fare uccidere una persona dentro casa mia?», ha detto Cosimo Morleo. Ventitré anni fa, Cosimo Morleo aveva una legnaia in cui – ha spiegato lui stesso – lavorava il fratello Enrico. «Non gliel’ho chiesto io», ha rimarcato. Il presidente è andato avanti: «Lei non ammette alcuna responsabilità». L’imputato: «No, ma minimamente proprio». Poi ha aggiunto: «Se avesse (mio fratello) trovato il cadavere, lo avrebbero arrestato sicuramente perché non gli avrebbero creduto. La legge non gli avrebbe creduto».
Prima ancora, Cosimo Morleo, rispondendo al pm Milto Stefano De Nozza, ha descritto il fratello Massimiliano, diventato collaboratore di giustizia: «Da piccolo era un santo, me lo sono cresciuto, lo adoravo, poi mi sono sposato e sono scappato dal rione Perrino, me ne sono andato in campagna per non stare su quei rioni là», ha detto aggiungendo che per un periodo di tempo, subito dopo il matrimonio, lo portava anche in Grecia. «Lui con la signora con cui sta adesso. L’ho portato anche in Sicilia, sia a Taormina, che a Corfù».
I rapporti, nel tempo, si sarebbero deteriorati. «Con Massimiliano abbiamo avuto contrasti, aprimmo un bar insieme, il Rosso e Nero. Lui voleva aprire a tutti i costi questo bar, mentre io avevo un distributore di benzina in gestione». Il periodo sarebbe quello successivo alla chiusura della legnaia: «Massimiliano veniva e dava fastidio a tutti. Era dichiarato, gli feci il favore, lo dichiarai perché doveva uscire dal carcere, ma non lavorava». Per il bar pagarono «330mila euro uno sull’altro, 180 lui e 150 io». Cosimo Morleo ha spiegato di aver investito il denaro che gli era stato riconosciuto dall’assicurazione in seguito alla morte della moglie Elvira. L’esperienza commerciale, stando al suo racconto, sarebbe andata avanti per un anno: «Io lavoravo mattina e sera, mi coricavo a terra per non lasciare il locale perché era aperto h24». Il bar venne chiuso. «Si chiude malamente», ha precisato l’imputato. «Un giorno (Massimiliano, n.d.r.) se viene un giorno e mi dice: “Perché non ti compri il bar, tu e tuo cognato?” Me lo voleva dare a debito. Tanto mi dai i soldi poi a 5-6mila euro”. E io ho detto: “Questo bar è nato insieme e insieme muore”. Dopo una settimana se ne viene e dice: “Siediti, ho venduto il bar. L’ho venduto a 180mila euro quanto i soldi che ho uscito io”. Io gli ho detto una cosa che non mi ero mai permesso: “Massimilia’, ma stamattina vai drogato?”. Poi si sono presentati i proprietari nuovi. Ho firmato l’atto di vendita perché non mi piaceva chi doveva gestire il bar, che era gente come lui. Da lì non ci siamo più visti. Da quel momento lo cancello proprio perché mi diede del ladro”».
Quanto, poi, alla collaborazione del fratello, Cosimo Morleo ha detto di averlo saputo visto che «ne parlava tutta la città», erano «voci di popolo», «però non sapevo se era vero o bugia». E ha spiegato il motivo della gelosia di Massimiliano nei suoi confronti: «Io ci sono sempre riuscito in tutto, lui no. Non è mai riuscito a coinvolgermi a vendere la cocaina, io se prendo la spazzatura e mi metto là, la vendo, mentre lui non è mai riuscito. E poi ce la portava per il fatto del bar».