in salento

Brindisi, «Qualcuno collabora fra gli arrestati dell’Operazione The Wolf»

Mimmo Mongelli

Stando a quello che racconta «radio carcere» di Borgo San Nicola, a «saltare il fosso» sarebbe stato uno degli elementi di punta del clan mafioso Lamendola-Cantanna

BRINDISI - Uno degli indagati nell’indagine «The Wolf», quella con cui la Dda di Lecce (pm Carmen Ruggiero) e i carabinieri (Compagnia di San Vito dei Normanni) hanno azzerato il clan mafioso Lamendola-Cantanna, potrebbe aver maturato il convincimento di pentirsi.

Al momento non ci sono notizie ufficiali in merito, ma «radio carcere» ha lanciato la notizia già da qualche giorno: «Un detenuto nella casa circondariale di Lecce, arrestato il 17 luglio scorso, avrebbe chiesto di parlare con i magistrati per vuotare il sacco». Il passaggio della notizia dalla casa circondariale di Borgo San Nicola all’esterno è stato rapidissimo. Al momento è inutile, per ovvie ragioni, anche solo provare a trovare conferme alla notizia negli uffici giudiziari. Stando a quello che racconta «radio carcere», a «saltare il fosso» sarebbe stato uno degli elementi di punta del clan mafioso azzerato dall’operazione dei Carabinieri di San Vito dei Normanni.

Si tratta di capire – sempre che i rumor che da giorni sono sempre più insistenti dietro le sbarre hanno un fondamento – se l’indagato in questione ha già reso dichiarazioni ai magistrati inquirenti e, soprattutto, cosa può avere aggiunto alla ricostruzione operata da inquirenti e investigatori delle attività del clan che aveva la sua base a San Vito dei Normanni e una “filiale” a Fasano. Anche se l’aspirante collaboratore di giustizia avesse già messo nero su bianco le informazioni che intende «offrire» allo Stato, il contenuto dei verbali è chiuso nel segreto istruttorio. Gli effetti di questa (eventuale) collaborazione al momento sono imprevedibili. Le dichiarazioni dell’aspirante pentito, che naturalmente dovranno essere vagliate dai magistrati e a cui gli investigatori dovranno cercare di trovare riscontri, potrebbero provocare uno tsunami di intensità tale da seppellire definitivamente il clan.

Associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, tentato omicidio, detenzione e porto illegale di armi da fuoco e da guerra, violenza privata, lesioni personali, estorsione, ricettazione, danneggiamento seguito da incendio ed autoriciclaggio, tutti aggravati dal metodo mafioso, produzione, coltivazione, spaccio e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza: questa le ipotesi di reato che, a vario titolo, vengono contestate agli indagati.

A 15 dei 36 indagati il pm contesta di «aver fatto parte dell’associazione di tipo mafioso denominata Sacra corona unita e, segnatamente, del clan Lamendola-Cantanna, facente parte della frangia mesagnese della Scu avente come referenti Antonio Vitale, Massimo Pasimeni e Daniele Vicientino, a cui era affiliato Carlo Cantanna, già condannato per associazione mafiosa, nonno di Gianluca Lamendola (il presunto capo del clan criminale, allo stato ancora irreperibile – n.d.r.)».

L’associazione – prosegue il pm – era «connotata dalla notorietà criminale acquisita nel tempo con una lunga e stabile presenza dei territori di Brindisi, San Vito dei Normanni, Latiano, Fasano, San Pancrazio Salentino, Carovigno e San Michele Salentino e da una forte carica di intimidazione (estrinsecatasi in estorsioni, esecuzione e programmazione di sequestri di persona, violenza privata, lesioni personali). Il clan Lamendola-Cantanna era connotato da «rituali di affiliazione e di inflizione di pene corporali quale il taglio delle spalle praticate nei confronti dei partecipi infedeli o di terzi, dalla esistenza di vincoli di solidarietà tra i partecipi e di una cassa comune alimentata dalle attività illecite attraverso la quale veniva garantito il mantenimento agli affiliati e ai familiari».

Lo scopo dell’associazione a delinquere era quello di «commettere una serie indeterminata di delitti».

La genesi dell’indagine, condotta dai carabinieri della Compagnia di San Vito dei Normanni, è il tentato omicidio di un sorvegliato speciale, avvenuto la sera del 5 luglio del 2020 a Latiano. Quel giorno la vittima, per puro caso e grazie alla prontezza di riflessi, non venne attinta mortalmente dalla raffica di colpi calibro 9 esplosi dal commando.

Privacy Policy Cookie Policy