I racconti
L’orrore di chi è approdato in Puglia: «Sono fuggito dall’inferno. Qui voglio studiare»
Parlano i migranti sbarcati ieri a Brindisi con la nave di Emergency
BRINDISI - «Sono nato in Etiopia ma vivevo in Sudan, dove mi aveva portato mia madre, che era sudanese. In Sudan vivevo in un campo profughi, non andavo a scuola lì, non facevo nulla. Volevo provare ad avere una vita migliore, che non avrei mai potuto avere in Sudan. Sono arrivato in Libia da solo, là non conoscevo nessuno. Non avevo un posto dove stare. Ho pensato che se venivo in Italia avrei potuto studiare e avere una vita migliore. In Italia, vorrei studiare medicina, vorrei diventare medico. Se sei un medico, salvi la vita degli altri. Io vorrei fare questo».
È la storia di S.F., minore non accompagnato di 16 anni, Sudan. «In Libia, sono stato tre anni. Ho provato e riprovato a venire in Italia quattro volte ma sono sempre stato respinto. La vita in Libia è terribile. Si finisce in prigione, ci sono finito anche io per due mesi. È l’inferno. È tutta una prigione, e se non hai i soldi per pagare il riscatto, non puoi fare niente: né uscire di prigione, né arrivare in Italia. Quando siamo saliti sulla barca, ci hanno detto solo di andare. Non ci hanno dato alcuna indicazione sulla direzione. Siamo rimasti molto tempo in mare, giorno e notte. Non ho potuto portare nulla con me. Ora per fortuna siamo qui».
È quanto confidato ai mediatori di Emergency. La sua storia fa il paio con quella Y.M, donna incinta al settimo mese, del Gambia: «Ho 23 anni - ha raccontato agli operatori di Emergency - e vengo dal Gambia. È stato difficile lasciare il mio Paese ma ho dovuto farlo perché la vita in Gambia è difficile. Sono incinta, mio marito è morto. Ho dovuto lasciare la mia famiglia, che è rimasta a vivere nel mio Paese, per provare ad avere un’altra vita. Il viaggio dal Gambia verso la Libia è stato molto difficile, ancora di più per una donna incinta. Ho dovuto farmi forza. Ho viaggiato insieme ad altre persone, attraverso il Niger prima di arrivare in Libia. Puoi contare solo sulle tue gambe per andare avanti. Sono stata in Libia per due mesi, per una donna che aspetta un bambino è molto difficile. Non hai diritti, non hai nulla. Non avevo niente, volevo solo andare via. Ho deciso di attraversare il mare e di venire in Italia e avere un futuro per me e per il figlio che nascerà». Sono tante le storie di disperazione che abbiamo raccolto», ha spiegato alla stampa Simonetta Gola, responsabile della comunicazione dell'Associazione no profit Emergency, fondata da Gino Strada.
J.E., 21 anni, della Guinea Conakri racconta: «Ho vissuto in Libia, non è una vita facile. Mio marito è morto, ho due bambini. Ho provato ad arrivare in Italia tre volte ma sono stata rimandata indietro dalla polizia. In Italia vorrei trovare un lavoro e dare un’altra vita alla mia famiglia». E ancora c’è un giovane del dal Ciad che ricorda: «Ho un fratello gemello lasciato a Zwara perché i soldi non bastavano per tutti e due. Ora è in un centro per migranti». Un 22enne infine ha passato 3 anni in Libia «anche se ero partito con pochi soldi ed ero consapevole di dovermi fermare qualche mese in Libia per lavorare e procurarmi i soldi per la traversata verso l'Italia. Arrivato in Libia ho subito preso i contatti per i miei connazionali che mi hanno aiutato a trovare una casa e un lavoro».