Le sentenze in Appello
Brindisi, traffico di droga all’ombra della Scu: condanne ridotte in appello
Il blitz risale al 13 febbraio 2020, nell’ambito delle inchieste coordinate dalla Dda di Lecce, chiamate «Synedrium» e «Fidelis»
Condanne ridotte in appello per i collaboratori di giustizia brindisini Andrea Romano, la moglie Angela Coffa, la sorella Annarita Coffa e per altri 26 imputati accusati, a vario titolo, di associazione di stampo mafioso, tra promotori e affiliati al clan Romano-Coffa, con base nel quartiere Sant’Elia di Brindisi, e traffico di droga. Il blitz risale al 13 febbraio 2020, nell’ambito delle inchieste coordinate dalla Dda di Lecce, chiamate «Synedrium» e «Fidelis».
Romano, il primo ad aver aperto una crepa fra i segreti più recenti della ramificazione brindisina della Scu, è stato condannato dalla Corte d’Appello di Lecce (presidente Vincenzo Scardia) a undici anni, un mese e 10 giorni, dopo il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulle aggravanti. In primo grado, con sentenza del gup del tribunale di Lecce pronunciata il 10 gennaio 2019, era stato condannato a 20 anni di reclusione. L’imputato, già condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Cosimo Tedesco, avvenuto a Brindisi, il primo novembre 2014, dopo la festa di Halloween organizzata per il compleanno di una bimba di tre anni, ha iniziato a rendere dichiarazioni in seguito alle accuse mosse con l’inchiesta «Synedrium». La prima in cui il suo nome è stato associato a un ruolo di vertice nella Scu. Non più semplice affiliato, come risultava dalle dichiarazioni di collaboratori ritenuti attendibili, da ultimo Sandro Campana, morto suicida e fratello di Francesco Campana, ritenuto a capo di una frangia del sodalizio.
Romano ha ammesso di essere stato «il boss» come si legge nel primo verbale da «dichiarante», di avere il «controllo di tutte le attività illecite», di decidere «le piazze di spaccio, gli attentati e il versamento delle somme al mio clan». Decisioni prese nel corso di riunioni a casa. Sua moglie, Angela Coffa, e la sorella Annarita Coffa, dopo essere state accusate per la prima volta di aver fatto parte del sodalizio mafioso, hanno scelto la strada della collaborazione. In appello hanno ottenuto una sforbiciata della condanna che risulta comunque più elevata di quella inflitta a Romano. Dodici anni e due mesi di reclusione per Angela Coffa, che in primo grado era stata condanna a 18 anni. Dodici anni, otto mesi e 26 giorni di reclusione, per Annarita Coffa, a fronte dei 18 anni e 8 mesi inflitti in primo grado. Per entrambe, la Corte ha riconosciuto le circostante attenuanti generiche, prevalenti sulle aggravanti, diverse da quella dell’articolo 416 bis.
Queste le altre condanne: Marcello Campicelli è stato condannato a quattro anni e dieci mesi di reclusione, tenuto conto del riconoscimento delle attenuanti generiche; Fabrizio Campioto, cinque anni e quattro mesi: otto mesi di reclusione, in aumento della pena inflitta con la sentenza della Corte d’Appello di Lecce, il 15 marzo 2019, divenuta irrevocabile il 22 settembre 2020, posta in continuazione; Pamela Cannalire, cinque anni di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulle aggravanti; Luigi Carparelli, sette anni di reclusone, ritenute le circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulle aggravanti, diverse da quella di cui all’articolo 416 bis; Luca Ciampi, dieci anni, due mesi e venti giorni: sono stati conteggiati quattro mesi di reclusione, in aumento della pena inflitta con sentenza della Corte d’Appello di Lecce il 15 marzo 2019, divenuta irrevocabile il 22 settembre 2020.
E ancora: Vitantonio Cocciolo, un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione più 5.333 euro di multa; Francesco Coffa (classe 1983), sette anni e quattro mesi di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche; Fabrizio D’Angelo, tre anni e due mesi di reclusione e 13.800 euro di multa, previa esclusione della continuazione e concesse le circostanze attenuanti generiche; Giovanni De Benedictis, cinque anni di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti; Danilo Di Presa, cinque anni e quattro mesi di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti.
La Corte d’Appello di Lecce si è pronunciata anche sulle posizioni di Anna Gianniello, condanna a due anni di reclusione e 3mila euro di multa, previa esclusione della continuazione e del riconoscimento dell’ipotesi di cui all’articolo 73, comma 5, del dpr 309/90 (sospensione condizionale della pena detentiva all’imputata); Piero Lo Monaco, sette anni di reclusione, ritenute le già concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti diverse da quella di cui all’articolo 416 bis, nonché la continuazione del reato di cui alla sentenza del gip del tribunale di Brindisi del 16 giugno 2016, divenuta irrevocabile il 14 luglio 2016; Abele Martinelli, sette anni e quattro mesi di reclusione; Enrico Mellone, nove anni e quattro mesi di reclusione, ritenuta la continuazione con il reato di cui alla sentenza del gip del tribunale di Brindisi del 2 aprile 2019, irrevocabile il 19 luglio 2020.
E poi rispetto alle posizioni di Nicola Pierri, condannato a sei anni di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti; Giuseppe Prete, otto anni di reclusione, ritenute le già concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti diverse da quelle di cui all’articolo 416 bis, nonché la continuazione con il reato di cui alla sentenza della Corte d’Appello di Lecce il 10 settembre 2021, irrevocabile dal 13 settembre 2022; Salvatore Bruno Ragusa, cinque anni e quattro mesi di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche; Cosimo Remitri, sette anni e sei mesi di reclusione concesse le circostante attenuanti generiche; Alessio Romano, cinque anni e otto mesi di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti; Vito Simone Ruggiero, sette anni e sei mesi di reclusione, previa esclusione della recidiva contestata, ritenute le già concesse circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulle aggravanti diverse da quelle di cui all’articolo 416 bis; Cosimo Schena (classe 1972), sei anni e quattro mesi di reclusione, previa esclusione della recidiva contestate e ritenute le già concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti diverse da quelle di cui all’articolo 416 bis; Cosimo Schena (classe 1991), quattro anni, cinque mesi e dieci giorni di reclusione, ritenute le già concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti; Francesco Soliberto, nove anni, sei mesi e venti giorni di reclusione; Gianluca Volpe, un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione, e 800 euro di multa, concesse le circostanze attenuanti generiche e, infine, Salvatore Mario Volpe, sei anni e otto mesi di reclusione.
La Corte, inoltre, ha disposto la sostituzione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella della interdizione della durata di 5 anni nei confronti di Marcello Campicelli, Pamela Cannalire, Luigi Carparelli, Giovanni De Benedictis, Danilo Di Presa, Salvatore Bruno Ragusa e Cosimo Schena (classe 1991). Dichiarazione di non doversi procedere nei confronti di Giovanni Patisso, per morte dell’imputato. Le motivazioni saranno depositate nel termine di 90 giorni.