Il caso

Trani, ad Amet 350mila euro per il mancato impianto

Nico Aurora

La decisione del Tar Lazio a vent’anni dall’inizio del contenzioso

TRANI - Si attivò per la costruzione di un termovalorizzatore a Trani: non se ne fece più nulla e solo adesso, dopo 20 lunghi anni, il Tar del Lazio ha riconosciuto il suo diritto ad un ulteriore e definitivo indennizzo pari a 350.000 euro. Amet Spa si prende così una rivincita giudiziaria in merito ad una vicenda che, almeno sulla carta, avrebbe potuto determinare una svolta dell’attività e, invece, ne segnò una tappa del progressivo declino.

PRIMA VOLUTO, POI SFUMATO - Nelle intenzioni del sindaco dell’epoca, Pinuccio Tarantini, e del Cda di piazza Plebiscito da lui nominato, l’inceneritore che si sarebbe dovuto realizzare a Trani avrebbe consentito ad Amet di tornare a produrre energia elettrica, rivendendola poi ai cittadini a prezzi oltre modo competitivi, senza più la necessità di acquistarla da terzi. I fatti, invece, andarono in direzione ben diversa. Ci fu un forte ostracismo in città, poiché l’impianto era ritenuto potenzialmente dannoso e ci si attivò per un referendum consultivo del cui comitato promotore fu presidente l’attuale vice sindaco, Fabrizio Ferrante.

Ma alle urne neanche si andò poiché il Commissario delegato per l’emergenza ambientale, Nichi Vendola, approvando un piano rifiuti regionale senza più alcun termovalorizzatore, revocò il decreto del 21 novembre 2004 con il quale lo stesso Commissario (all’epoca Raffaele Fitto) aveva disposto l’aggiudicazione definitiva, in favore dell’associazione temporanea di imprese formata da Noyvallesina engineering, Amet e Gea, dell’«affidamento del pubblico servizio di gestione del sistema impiantistico complesso, con recupero energetico, al servizio del bacino di utenza Bari 1».

LE RICHIESTE DI AMET - Amet si è sentita parte in causa poiché, pur essendo soltanto mandante di quell’Ati, aveva svolto direttamente e autonomamente le attività necessarie alla partecipazione alla procedura di insediamento del termovalorizzatore, mantenimento in vita degli atti amministrativi di localizzazione, costituzione della società di scopo Rea ed ogni altra attività.

Per questi motivi ha sostenuto innanzi al Tar di vantare somme anticipate e non ancora rimborsate dalle consociate, condannando in tal senso il Commissario per l’emergenza rifiuti, il Ministero per l’ambiente e la Regione Puglia a corrispondere il relativo importo: 890.000 euro. La Regione, al contrario, ha contestato la prospettazione dell’ex municipalizzata tranese sostenendo che l’indennizzo richiesto da Noy ambiente e Rea Trani era stato già quantificato e liquidato in complessivi 3 milioni di euro con precedente provvedimento.

LA DECISIONE - Il Tar laziale (presidente Spagnoletti, a latere Zafarana e Tascone) ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva di Commissario e Governo, decidendo per la liquidazione di una somma in favore di Amet, da parte della sola Regione, di poco superiore ad un terzo di quella richiesta.

I primo luogo, i giudici romani hanno dato atto del fatto che le pretese di indennizzo avanzate da Amet erano rivolte direttamente ed esclusivamente verso atti adottati dal presidente della Regione Puglia, nell’ambito delle iniziative e attività di sua competenza, per la procedura di evidenza pubblica che aveva condotto all’aggiudicazione dell’appalto avvenuta nel 2004, poi revocata con nel 2006.

Il Tar Lazio ha riconosciuto che la Noy ambiente era stata destinataria di un indennizzo di 3 milioni di euro, versandone ad Amet poco più di 700.000. Ma nel giudizio Amet ha puntato a dimostrare che quella somma fosse insufficiente, poiché le spese sostenute ammontavano a 1.600.000 euro e i restanti 900.000 andavano liquidati: il consulente tecnico d’ufficio, nominato per l’occasione, ha ritenuto che l’indennizzo da riconoscere alla società di piazza Plebiscito fosse intorno ai 300.000 euro, diventati 343.000 con gli interessi legali: a tale orientamento il Tar si è uniformato.

Amet aveva effettivamente versato, per la costituzione della società di scopo, una somma che, revocata l’aggiudicazione della gara, non sarebbe stata più recuperabile se non attraverso un indennizzo da parte della Regione, comprensivo anche del finanziamento restituito a Ubi banca. Amet, nel giudizio, è stata difesa dall’avvocato Franco Gagliardi La Gala. Regione Puglia dagli avvocati Maria Liberti e Alessio Mattera.

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