Il caso

Barletta, la maxi-frode fiscale da 350 milioni del marketing multilivello sui cosmetici: 4 arresti della Finanza, coinvolta società Chogan

Nel mirino i titolari e un commercialista. L’ipotesi: hanno messo su un sistema per evadere le tasse. Nove in totale gli indagati

BARLETTA - Riguarda una società di Barletta, la Chogan, attiva nel multilevel marketing per la commercializzazione di cosmetici l’operazione della Procura di Trani che oggi 30 maggio 2024 ha portato a quattro arresti (tre in carcere, uno ai domiciliari, più una interdizione dalle attività commerciali) con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale, riciclaggio ed autoriciclaggio, nonché per reati tributari e fallimentari.

Tra le tre persone portate in carcere c’è un commercialista, Pietro Luigi Scricco, 63 anni, ritenuto la mente del meccanismo fraudolento. In carcere anche il legale rappresentante della società, Michelangelo Paradiso, 52 enne di Barletta, e Liborio Scelzo, 48 anni, di Taranto, residente a Bari. Domiciliari per Arcangela Fumarulo, 49 anni, di Barletta. Interdizione dalle attività imprenditoriali per 6 mesi per Delfino Kemuel Paradiso, 26 anni. Sono nove in totale gli indagati, più la società Chogan Group Spa ai sensi della legge 231. I militari del comando provinciale Bat guidato dal colonnello Pierluca Cassano hanno eseguito sequestri di beni per 355 milioni tra immobili, conti correnti e numerosi beni di lusso, compresa la stessa società indagata che è stata affidata a un amministratore giudiziario.

L’attività investigativa, corroborata anche da mirate attività tecniche - secondo un comunicato stampa della Procura di Trani - ha dapprima fatto emergere un meccanismo illecito finalizzato alla lievitazione dei costi della società strumentale all’ artificioso abbattimento dell’utile di esercizio e la conseguente inferiore liquidazione dell’imposta sul reddito e dell’Imposta sul valore aggiunto, mediante l’esposizione di crediti Iva inesistenti.

Successivamente, è stato altresì acclarato che gli indagati, coadiuvati dal commercialista ritenuto la mente della frode, avevano implementato, sin dal 2017, un più complesso sistema illecito occulto in base al quale la società per azioni contabilizzava i costi connessi alle provvigioni di vendita fatturate dai principali indagati mediante l’emissione di documenti fiscali oggettivamente inesistenti. Fittiziamente qualificati come venditori “porta a porta”, essi godevano di un regime fiscale particolarmente agevolato, se si considera che la tassazione IRPEF era calcolata con l’applicazione di aliquota di fatto pari al 18%, decisamente inferiore persino all’aliquota più bassa (23%) applicata alle persone fisiche con redditi fino a 28mila euro.

In questo modo è stato ottenuto un duplice vantaggio fiscale: da un lato la tassazione irrisoria delle vendite realizzate (il volume d’affari è pari a 60 milioni di euro), e, d’altro canto, nell’abbattimento quasi totale della base imponibile, mediante la creazione fittizia di ingentissimi costi in capo alla società, così da costituire di fatto un drenaggio di ricchezza sottratta alla tassazione Ires. Secondo l'accusa era stata creata una struttura dotata “di una sostanziale stabile organizzazione sistematicamente preordinata alla perpetrazione di condotte delittuose, da non potersi meramente considerare come estrinsecazione di occasionali accordi ma vere e proprie azioni di reità poste in essere in maniera costante ed omogenea, oltre che ripetuta nel tempo". Del tutto sintomatica è stata ritenuta, ai fini della sussistenza del più grave reato di associazione per delinquere “la spregiudicatezza” con cui non soltanto i sodali "ponevano in essere deliberatamente i fatti in contestazione ma (...) con cui con altrettanta quasi disarmante naturalezza disquisivano di tali fatti“.  Le intercettazioni hanno fatto “evincere in modo assolutamente chiaro la sussistenza di un piano criminoso ben organizzato e collauda-to nel tempo, anche con prospettive rivolte al futuro”.

 

 

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