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Canosa, omicidio Melziade: «Il nipote Massimo Flora non era presente, ma diede indicazioni ai rapinatori»
L’anziana gioielliera morì nel novembre 2017 in seguito allo shock e alle torture a lei inflitte durante una rapina in casa
CANOSA - Massimo Flora non era fisicamente presente nel momento della rapina poi sfociata nel decesso della gioielliera Maria Melziade. Ma sarebbe stato pienamente consapevole del disegno criminoso relativo al furto dei gioielli.
Sono queste le conclusioni alle quali il presidente della Corte d’Assise di Trani Luca Buonvino arriva nelle 85 pagine della sentenza con la quale l’imputato è stato condannato a sette anni di carcere per rapina, ma assolto dall’accusa di omicidio preterintenzionale.
La rapina sfociata in tragedia ai danni della gioielliera, commessa il 17 novembre del 2016, si rivelò uno degli episodi più violenti e drammatici che siano mai stati commessi a Canosa. Era noto come la 75enne, commerciante di diamanti, fosse particolarmente benestante.
Secondo quanto ricostruito, l’anziana fu legata alla sedia con del nastro isolante; i rapinatori, tramite un teaser, le inflissero scosse elettriche per costringerla a rivelare dove fosse la chiave della cassaforte.
Il bottino, alla fine, fu di un anello di valore, un orologio tempestato di brillanti, un paio di orecchini e circa 1200 euro in contanti. La donna, a causa delle lesioni riportate e di un infarto, morì dopo alcune ore all’ospedale di Andria. Flora, nello specifico, è accusato di aver fornito agli esecutori materiali elementi utili in merito all’abitazione ed all’orario di rientro della vittima e di suo marito.
«Furono proprio Flora e Moscaritolo - si legge nella sentenza - a riferire a Lorenzo Campanella che la Melziade e il marito si trovavano a Milano per riscuotere gli affitti e che il momento giusto per la rapina era al loro rientro. Non agirono mentre la donna era fuori poichè la stessa doveva indicare loro dove erano le chiavi della cassaforte; erano due le chiavi, una delle quali lunga. I dettagli sulle chiavi di apertura della cassaforte e sulla sua ubicazione all’interno dell’appartamento furono forniti al Moscaritolo e a suo figlio Cosimo Campanella proprio dal Flora».
E ancora: «Fu sempre il Flora a fornire i dettagli sul rientro dei coniugi Mocelli - Melziade da Milano: Flora Massimiliano chiamò il marito della vittima con il pretesto di informarlo che aveva trovato una persona interessata all’acquisto della sua macchina d’epoca, di cui il Mocelli voleva disfarsi. Attraverso tale telefonata Flora ebbe notizie sull’orario di rientro della Melziade, tant’è che si posizionò con Moscaritolo all’uscita dei caselli autostradali di Cerignola e Canosa. (...) Fu il Flora a riferire che il valore della rapina era enorme.(...) In definitiva durante i preparativi della rapina Lorenzo Campanella vide due o tre volte Flora».
In relazione all’assoluzione dall’accusa di omicidio, il giudic scrive che « non v’è prova che Flora - al quale era stato assegnato il ruolo di vedetta - fosse a conoscenza delle specifiche modalità di realizzazione dell’azione predatoria che gli esecutori materiali intendevano adottare; non v’è prova che al Flora fosse nota l’intenzione di usare il teaser». Ma soprattutto «l’imputato non fu partecipe del momento propriamente esecutivo della rapina, quindi non fu certamente partecipe dell’evento lesivo e neppure ne ebbe percezione visiva, con conseguente impossibilità di manifestare condivisione o dissenso».
Il processo riguardava anche la posizione di Luigi Catalano, difeso dall’avvocato Mariangela Malcangio, assolto dall’accusa di ricettazione. E anche quelle di Michele Scardi e Gianfranco Colucci, entrambi assolti dall’accusa di aver rapinato un anziano in casa. Erano difesi dall’avvocato Giovan Battista Pavone.
Ora si attende di conoscere se la procura deciderà di proporre appello oppure no.