La polemica

Taralli pugliesi senza vino? È guerra tra i produttori e scatta l’allarme

Paolo Pinnelli

C'è chi vuole togliere il vino dagli ingredienti per abbassare il prezzo e l'iva

CANOSA - Potrebbe chiamarsi la «guerra dei taralli», ma, visti i tempi, definiamola più pacificamente la «disputa» dei taralli. Al centro c’è la ricetta dei taralli pugliesi, riconosciuti come «PAT», Prodotti Agroalimentari Tradizionali. Fanno, quindi, parte di quei prodotti che rappresentano uno dei biglietti da visita dell'agricoltura italiana di qualità, in questo caso dell’agricoltura e agroalimentare pugliese. A renderli «tradizionali» (cioè PAT) e diversi dagli altri è il riconoscimento che le «metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura sono consolidate nel tempo, omogenee per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, protratte nel tempo, per un periodo di almeno 25 anni».

Il sistema dei prodotti tradizionali Pat è regolamentato dal decreto dell’8 settembre 1999, n. 350, che prevede l'istituzione, da parte delle Regioni, di elenchi dei propri prodotti agroalimentari tradizionali.

Dall’«Atlante dei PAT» della Puglia (quindi, il documento ufficiale della Regione Puglia), nella sezione «Paste fresche e prodotti della panetteria, biscotteria, pasticceria e confetteria» si trovano i «Taralli» anche detti «Picc’latedd, vescottere, taredd»; è indicato che l’area di origine del prodotto è l’intera regione, l’anno di inserimento nell’elenco nazionale PAT è il 2001 ed il periodo di produzione è «Tutto l'anno».

Semplificando, il tarallo pugliese Pat è un prodotto della tradizione perché da sempre si produce nello stesso modo e, naturalmente, con gli stessi ingredienti. Ma il «naturalmente» non sembra più così scontato.

Gli ingredienti dei taralli pugliesi Pat, che possano chiamarsi tali sono, anzi sarebbero: farina, olio di oliva e vino bianco.

Come si preparano? Sempre dall’Atlante Pat: dall’impasto di tutti gli ingredienti si ricavano filoncini che, una volta avvolti a forma di anello, vengono prima bolliti e infine cotti al forno. Esistono numerose versioni che prevedono l’aggiunta di erbe aromatiche, semi di finocchio, olive, cipolle e altri ortaggi. Ma gli ingredienti base sarebbero sempre almeno tre: farina, olio di oliva e vino bianco.

Perché il condizionale? Perché da qualche settimana tra i maggior produttori di taralli pugliesi è scoppiata una querelle ed è scattato un vero allarme. Ne è preoccupato l’imprenditore Nunzio Margiotta, direttore commerciale della Apulia Food di Canosa: «Alcuni colleghi produttori stanno pensando di poter abbassare il prezzo dei taralli togliendo uno degli ingredienti fondamentali: il vino».

Perché? Perchè il vino costa ma anche perché, togliendo il vino, si potrebbe abbattere l’Iva sui prodotti da 10 % al 4% (l’Iva agricola). Insomma: togliere il vino per risparmiare e far risparmiare.

Sembrerebbe una buona idea se non fosse che si tratterebbe, come sbotta irretito Margiotta, «di produrre altro: i taralli pugliesi sono prodotti della tradizione che vanno difesi, protetti, valorizzati e non sviliti come sta accadendo per l’avidità di alcuni imprenditori». Insomma, senza vino sarebbe sempre un “tarallo” ma che non potrebbe, anzi, non dovrebbe, essere venduto e indicato nelle confezioni al consumatore come “tarallo pugliese”.

L’allarme è presto lanciato: togliere il vino al tarallo pugliese è togliere parte del sapore e quindi cancellare la tradizione. Il rischio è che per abbassare i costi, insomma, si vendano «fischi per fiaschi». Sarebbe come produrre la focaccia barese togliendo i pomodori (per risparmiare), o i pasticciotti leccesi senza crema o, se vogliamo, i «sospiri» biscegliesi senza la glassa.

Margiotta promette battaglia in tutte le sedi per proteggere la peculiarità del tarallo pugliese a cui è legato da una fortissima tradizione familiare.

La speranza per l’imprenditore, ma anche per i nostri palati, è che tutto non finisca a tarallucci e vino. E senza nemmeno vino.

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