Il focus
Basilicata, «Clima pazzo? È già tardi non ci resta che adattarci»
L’effetto del riscaldamento globale
Ora o mai più. Non c’è solo la profezia universale a dirci che il riscaldamento globale a 1,5 gradi scatenerà la catastrofe in meno di sette anni. E che bisgogna fare presto, se non a mitigare, quanto meno ad adattarsi. Le dannazioni quotidiane della crisi climatica ci sbattono l’urgenza del dover fare, qui e ora, a tutte le latitudini.
Gli scienziati di casa nostra continuano a lanciare allarmi. Fatto è che vengono recepiti solo dai pochi intimi che affollano le aule universitarie o i saloni dei convegni dove minoranze avvedute organizzano dibattiti. Come l’ultimo tenuto nella sala consiliare di Marconia durante il quale, Michele Greco, e Biagio Perretti, dell’Università di Basilicata, hanno affondato - non solo loro per la verità - le analisi sull’incidenza dei cambiamenti climatici nell’agricoltura e nel turismo del sistema costiero ionico lucano.
Sì, è lì, lungo le rive del Metapontino, il purgatorio che sta diventando inferno. Il che non significa che collina e montagna la facciano franca. Ma lungo la costa ionica piove sul bagnato della erosione costiera. Greco (si veda l’intervista, in pagina), che da decenni studia, monitora e suggerisce, dà una proiezione che gela le vene: tra meno di ottant’anni il mar Ionio s’innalzerà di novanta centimetri. Significa che i nostri nipoti in pieno inverno demografico dovranno fronteggiare anche mini tsunami continui.
Il passo in avanti dell’incontro di Marconia è stato fatto affrontando non solo il futuro prossimo, ma l’impatto economico delle pazze stagioni che stiamo già vivendo. Un tema declinato, soprattutto, da Biagio Perretti, docente di economia agraria nel corso di laurea in tecnologia agrarie dell’Università di Basilicata.
La cosa sembra ovvia, ma la dice lunga: secondo le statistiche disponibili, rileva Perretti, gli studenti universitari ottengono in media voti più bassi nei giorni di temperatura sopra alla media. E gli incidenti sul lavoro sono più frequenti. Per quanto i numeri dicano poco, fuori dal dorso dell’analisi qualitativa, c’è l’ultimo dato di Bankitalia: il cambiamento climatico potrebbe portare ad una perdita di prodotto interno lordo pro-capite di circa il 10%. «Per la Basilicata, che parte da un prodotto pro-capite di circa 20mila euro, significherebbe una perdita di circa duemila euro. Questa è la media, che deriva da perdite che si concentrano nel settore agricolo, turistico, e dei trasporti. Tra le imprese quelle che soffriranno i maggiori danni sono le piccole. Considerando la struttura dell’economia della Basilicata, possiamo concludere che la nostra regione sarà tra le più colpite in Italia». Amen.
Il discorso di Perretti è a maglie larghe. E comincia, come si è detto, osservando quel che succede già, anche «lontano dalle coste»: «Nei centri sciistici delle aree interne della Basilicata, da cinquant’anni abbiamo poli del turismo invernale frequentati da molti pugliesi e residenti in altre regioni limitrofe. La possibilità di utilizzare questi centri di turismo invernale sta sostanzialmente scomparendo, sia perché è la neve che sta scomparendo sia perché la sua distribuzione nelle stagioni è estremamente imprevedibile. In questo momento di Pasqua abbiamo neve che non abbiamo avuto per tutto l’inverno. E tutto questo distrugge le attività economiche oggi, non fra vent’anni».
Restiamo ai segni tangibili: le «bombe d’acqua». Dice il prof: «Il cambiamento della distribuzione delle piogge nelle stagioni, significa per le aziende agricole lucane avere acqua nel momento sbagliato. Tradotto, in termini economici significa due cose: il prodotto diventa, non tanto scarso, quanto variabile e il reddito si fa più incerto». E questo si somma al problema globale della siccità che ha fatto impennare i prezzi (vedi il grano).
Trent’anni fa avevamo in Basilicata una tempesta di vento e pioggia ogni quindici anni, ora ogni tre. E l’impatto, analizzando la voce «turismo balneare», è angosciante: «Ogni volta che c’è un’inondazione lo Stato deve ripristinare le strutture e lo fa prendendo risorse dalle tasse dei cittadini o aumentando i canoni delle concessioni demaniali agli imprenditori. Che però nel frattempo devono rinforzare le strutture e le barriere. I ricavi dello stabilmento, se la stagione va bene, restano gli stessi, ma i costi aumentano, la redditività diminuisce e diminuisce anche il lavoro».
Ci si difende pagando premi assicurativi per non rimanere a bocca asciutta, nei lidi come in campagna. Ma il «caro-polizze» è un aggravio di costi. E torniamo alla redditività e al lavoro che diminuisce.
Che cosa fare? A parte le strategie globali, «non resta che mitigare con investimenti di adattamento», insiste Perretti. Che solleva un rovescio della medaglia che non t’aspetti. «Adattamento significa, per esempio, ampliare in agricoltura la ricerca sulle specie resistenti d altissime temperature. Ma allora dovremmo ricorrere a grani modificati geneticamente, resistenti alla siccità, o a varietà di fragole coltivate con la metà dell’acqua. E qui subentra la questione spinosa, culturalmente comprensibile, della difesa delle produzioni tipiche e tradizionali. Ma il sapiens s’evoluto guardando al futuro e trovando soluzioni nuove. Non ci resta che adattarci e superare la diffidenza».