il caso

Sgombero ex Socrate di Bari, in aula il racconto di don Angelo: «Non si poteva lasciare al freddo la gente»

isabella maselli

Nel processo sono 30 gli imputati per manifestazione non autorizzata: nell’ultima udienza il sacerdote ha raccontato in aula, davanti a magistrati e avvocati, quel concitato pomeriggio

«Non si poteva lasciare al freddo la gente in pieno Covid. A noi tutti interessava la situazione delle persone, alcuni stavano con le ciabatte, alcuni infreddoliti, e quindi bisognava trovare una mediazione». È una parte del racconto di don Angelo Cassano, parroco della chiesa di San Carlo Borromeo nel quartiere Libertà e referente regionale di Libera, chiamato a testimoniare nel processo sulla protesta contro lo sgombero dell’ex liceo Socrate di via Fanelli, il 22 dicembre 2020.

Alla sbarra ci sono trenta persone, accusate di manifestazione non autorizzata e due di loro anche di resistenza a pubblico ufficiale. A seguito di un piccolo incendio scoppiato all’interno della struttura, all’epoca occupata da circa 60 migranti, fu dichiarata l’inagibilità dei locali e l’ex scuola fu evacuata. Centinaia di cittadini e rappresentanti di associazioni portarono solidarietà e aiuto ai migranti rimasti per strada. Per tutto il pomeriggio, con la polizia a mantenere l’ordine impedendo di rientrare nella struttura, volontari e curiosi continuavano a radunarsi, fino a quando alcune decine di manifestanti - poi identificate nei trenta imputati - avrebbero tentato di forzare il cordone dei poliziotti all’ingresso per entrare. O almeno questa è l’accusa. Il tentativo di sgombero - mai formalizzato in un provvedimento - non fu comunque portato a termine allo scoccare del coprifuoco Covid all’epoca in vigore. A stemperare gli animi quella sera arrivarono, tra gli altri, don Angelo Cassano, l’allora sindaco Antonio Decaro, l’ex assessora al Welfare Francesca Bottalico. Nell’ultima udienza del processo (si tornerà in aula il 30 settembre per la discussione finale) il sacerdote, che all’epoca era parroco di San Sabino, ha raccontato in aula, davanti a magistrati e avvocati, quel concitato pomeriggio.

IL RACCONTO DI DON ANGELO «Ricordo bene, - ha detto don Angelo Cassano - anche perché come parrocchia di San Sabino abbiamo sempre seguito la comunità attraverso azioni solidali, con cibo o altro, per esempio quando avevano difficoltà, perfino con un generatore in quel periodo, perché faceva freddo. Quindi a seguito di questo incendio sono stato uno dei primi ad arrivare lì, proprio perché, come parroco già gli abitanti mi conoscevano e poi soprattutto perché come Libera mi chiedevano anche di fare una mediazione rispetto al fatto che arrivando sul posto c’era questa situazione in cui gli abitanti erano fuori, faceva freddo. Quindi mi sono attivato per cercare di capire la situazione».

Il sacerdote ha raccontato che «in quelle ore c’erano tante realtà presenti e mi era stato chiesto di poter fare una mediazione. Siccome si era parlato di un incendio, io avevo chiesto di fare una visita nella struttura e capire quale era l’entità del rogo. Mi permetto di dire che l’incendio non era così grave: in un sottoscala c’erano dei borsoni, cose degli abitanti che erano andate a fuoco e avevano fatto molto fumo. Comunque, non sembrava che ci fossero gli estremi per uno sgombro immediato. Quindi io ho fatto una mediazione, ho chiamato il sindaco Decaro e ho chiesto se in qualche modo si poteva fare qualcosa, nel senso che non si poteva lasciare al freddo la gente. In un primo momento sono andato con una delegazione dal sindaco, cercando di capire in che modo si poteva gestire quel momento, anche perché gli abitanti volevano ritornare nella struttura». Decaro poi andò direttamente sul posto ed ebbe un confronto con chi era lì per portare supporto e solidarietà. «Nel frattempo - prosegue il racconto del testimone - era intercorsa anche una mediazione con la Prefettura, perché le forze di polizia si erano interposte tra gli abitanti e i solidali che in quel momento erano lì e io ho ritenuto opportuno chiamare l’allora prefetto Bellomo e chiedere se in effetti c’erano ordini di sgombero. Il prefetto, al telefono, - ha rivelato don Angelo - mi disse che non c’era un ordine di sgombero, non c’era una perizia dei vigili del fuoco che in qualche modo asseriva un pericolo immediato per gli abitanti. Il risultato è stato che la Questura ha fatto ritornare le forze dell’ordine indietro».

GLI ALTRI TESTIMONI Nella stessa udienza sono state sentite altre tre testimoni, tra cui due operatrici legali specializzate in orientamento e sostegno per i cittadini stranieri, richiedenti asilo e rifugiati. Entrambe hanno negato momenti di tensione eccessiva. «Ho visto delle persone che erano sulle scale, c’erano le forze dell’ordine, però io non ho visto nessuna scena di violenza. Chiedevano spiegazioni per poter rientrare e prendere gli effetti personali. All’epoca c’era il Covid, c’era anche il coprifuoco e quindi le persone si chiedevano dove dovevano andare a quell’ora». L’ultima testimone è la sorella di uno dei trenta imputati. Dalle sue parole emerge che potrebbe esserci stato uno scambio di persona: suo fratello quel giorno non era all’ex Socrate, anzi non era a Bari.

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