Il caso
Roma, tre condanne per la morte di Ciccio Barbuto: il dj barese sequestrato per un debito di droga
Il processo: fu un maldestro tentativo di recuperare un debito di droga da 500mila euro. Il 35enne riuscì a scappare ma cadde da una finestra
Sono stati condannati in abbreviato dal gup di Roma a 20, 16 e 13 anni di carcere Sergio Placidi detto «Sergione», Fabrizio Daniele detto «Saccottino» e Ilaria Valentinetti, ritenuti responsabili del sequestro e della morte di Francesco Vitale, 35 anni, noto come Ciccio Barbuto, dj barese trovato senza vita ai piedi di un palazzo alla Magliana, a Roma il 22 febbraio 2023.
La sentenza è arrivata dopo mesi di indagini, intercettazioni e ricostruzioni che hanno svelato una vicenda criminale tanto brutale quanto dilettantesca. Secondo i carabinieri infatti i tre avrebbero sequestrato Vitale per riscuotere un presunto debito di circa 500.000 euro, maturato - secondo i pm Francesco Cascini e Francesco Minisci - nell’ambito di un affare di droga con il boss albanese Elvis Demce.
Nel 2023 i tre avrebbero convinto Vitale a recarsi in un appartamento in via Pescaglia, alla Magliana. Qui lo sequestrano, contattando i familiari per chiedere un riscatto e stabiliscono un ultimatum. In un momento drammatico, Vitale riesce a parlare con la moglie e le dice: «Amore, è finita».
Approfittando di un momento di distrazione de rapitori, con Placidi che esce per mangiare un panino nei pressi dell'appartamento, Vitale tenta la fuga passando da una piccola finestra. L’uomo cade nel vuoto e muore sul colpo. I carcerieri a quel punto avrebbero tentato di ripulire l'appartamento e cancellare ogni traccia con la candeggina. Un espediente che però non li salva dall'arresto anche perché in casa i carabinieri del Nucleo investigativo di via In Selci trovano le impronte digitali dei carcerieri: Daniele viene arrestato subito, mentre Placidi viene trovato poco dopo in un nascondiglio alle porte di Roma. Qualche mese più tardi viene fermata anche Ilaria Valentinetti, ritenuta complice dei primi due. A incastrarla sono state le intercettazioni telefoniche, in cui si lamentava del mancato compenso per «il lavoro svolto» e della scarsa solidarietà ricevuta dopo l’arresto del suo compagno Placidi: «Dalle parti mie se deve mantenè il detenuto, la famiglia… manco hanno pagato il reato», diceva al telefono la donna che avrebbe provato a farsi pagare anche dopo la morte di Vitale.
Per i tre ad agosto di due anni fa la Procura di Roma aveva chiesto il giudizio immediato: nelle conclusioni l’accusa aveva chiesto 18 anni di carcere per tutti e tre gli imputati.