criminalità
Bari, corteo con «inchino» al carcere. I motociclisti si difendono: «Arroganti, ma non mafiosi»
La mattina del 24 giugno 2023 scortarono in un corteo non autorizzato il feretro di Christian Di Gioia. E nel tragitto, fecero tappa sotto casa del boss mafioso Eugenio Palermiti
BARI - «Quel corteo funebre non fu mafioso». È la tesi sostenuta dalle difese dei dieci giovani motociclisti che la mattina del 24 giugno 2023 scortarono in un corteo non autorizzato il feretro del 27enne Christian Di Gioia, morto in un incidente stradale qualche giorno prima. E nel tragitto, a tratti contromano, fecero tappa sotto casa del boss mafioso Eugenio Palermiti a Japigia e poi un «inchino» davanti al carcere. Per gli imputati la Dda ha chiesto condanne fino a 2 anni e 8 mesi di reclusione per il reato di blocco stradale aggravato da metodo e agevolazione mafiosa.
I dieci imputati finiti alla sbarra, tutti ritenuti vicini agli ambienti della criminalità barese, sono solo alcuni dei circa cento motociclisti che quel giorno «scortarono» da Japigia al cimitero del Libertà il feretro del loro amico 27enne. Una processione che secondo gli inquirenti baresi è stata mafiosa, perché le oltre cento moto di quel corteo non autorizzato avrebbero «costretto con la minaccia della loro imponente presenza», anche in controsenso, «i conducenti dei veicoli in transito ad arrestare o invertire la marcia», «evocando la forza tipica dell’agire mafioso, ostentando in maniera evidente e provocatoria una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi (lo Stato per la manifestazione di sfida eseguita presso il carcere con applausi verso i detenuti, gli ignari automobilisti per i blocchi stradali, nonché tutta la comunità barese costretta a subire il disagio) quella particolare coartazione e conseguente intimidazione, propria dei gruppi mafiosi» e, nel caso specifico, «del clan Parisi-Palermiti predominante nel quartiere Japigia». Non solo. Con quel comportamento, avrebbero «fornito, indirettamente, un supporto di credibilità al clan, dimostrando concretamente il potere di controllare il territorio e violare pubblicamente le leggi dello Stato». Nel processo il Comune di Bari si è costituito parte civile con l’avvocato Giuseppe Buquicchio, chiedendo 500mila euro di risarcimento danni.
Uno dei difensori, l’avvocato Nicola Quaranta, ha sostenuto nella discussione la mancata consapevolezza da parte di coloro che sono stati costretti a fermarsi per via dei blocchi stradali che si trattava di persone appartenenti ad un clan (nessuno dei giovani imputati, peraltro, ha precedenti per mafia). Quello dei motociclisti «è stato un atteggiamento arrogante - ha detto il legale - che però non ha niente a che vedere con la mafia. Non siamo di fronte ad una irruzione “alla Gomorra”». Inoltre, il clan cui fa riferimento l’imputazione è quello dei Parisi-Palermiti, mentre i blocchi stradali sono avvenuti «fuori dal quartiere Japigia», storica roccaforte di quel gruppo mafioso. Si tornerà in aula il 24 settembre per repliche e sentenza.