Il caso
Vigili baresi trasferiti perché troppo vicini ai clan, il Tar: «La Prefettura dia loro i documenti»
I ricorsi contro il ritiro delle qualifiche di pubblica sicurezza: ma hanno riavuto la divisa
Il demansionamento dei vigili urbani baresi indirettamente travolti dall’inchiesta Codice Interno finisce al Tar. Nei giorni scorsi si è discusso il primo ricorso contro la Prefettura che il 26 marzo scorso ha ritirato loro la qualifica di agente di pubblica sicurezza perché sospettati (ma non indagati) di rapporti troppo stretti con esponenti dei clan. Nel procedimento dinanzi ai giudici amministrativi, il lavoratore ha citato anche il Comune di Bari, che nelle scorse settimane ha restituito la divisa ad alcuni dei nove agenti trasferiti a marzo, assegnandoli al Nucleo scavi.
La gran parte dei nove agenti finiti negli accertamenti della Prefettura, partiti all’indomani dell’indagine Codice interno con la nomina della commissione di accesso, ha impugnato sia la revoca delle qualifiche di Ps (davanti al Tar) sia i trasferimenti (davanti al Tribunale del Lavoro). Gli interessati hanno potuto prendere visione, negli uffici della Prefettura, delle motivazioni alla base della revoca della qualifica di pubblica sicurezza contenute nella relazione degli ispettori: poche righe per ciascuno, nelle quali si parla appunto delle parentele con esponenti dei clan, dei rapporti di affari con un pezzo da ‘90 dei Palermiti, delle frequentazioni controindicate. Tutte circostanze presenti nelle banche dati in uso alle forze dell’ordine. Elementi che però, secondo le difese degli interessati, non giustificano i provvedimenti perché molto datate e - in alcuni casi - addirittura precedenti alla concessione (o al rinnovo) dei nulla osta al porto delle armi. I nove sono comunque tutti incensurati e non sarebbero mai nemmeno stati coinvolti in procedimenti penali collegati ai rapporti con i clan.
La vigilessa, quindi, come altri suoi colleghi, ha chiesto al Tar l’annullamento del decreto del Prefetto del 26 marzo 2025, cioè la revoca della qualifica di agente di pubblica sicurezza; dell’ordine di servizio di qualche giorno prima con cui il direttore generale del Comune aveva disposto il trasferimento della lavoratrice al Municipio 4 per svolgere «compiti di ufficio che non rientrano tra le funzioni di polizia locale». Ai giudici, inoltre, la lavoratrice, assistita dagli avvocati Michelangelo Pinto e Pasquale Procacci, ha chiesto anche di cassare il diniego parziale di accesso ai documenti.
Qualche giorno fa, poi, poco prima dell’udienza, i legali della lavoratrice hanno chiesto «l’abbinamento al merito della domanda cautelare collegiale» per via della «attenuazione delle esigenze cautelari» derivanti da «circostanze sopravvenute» nonché della «ritenuta opportunità» di sottoporre la questione «all’approfondito esame proprio del giudizio di merito». I giudici hanno dato loro ragione, ordinando alla Prefettura di «provvedere al deposito in giudizio della relazione conclusiva della Commissione di indagine nella sola parte che riguarda la ricorrente nel termine di dieci giorni». La relazione, ha stabilito il Tar, dovrà essere depositata in segreteria «in formato cartaceo, in plico chiuso e sigillato» e le parti «potranno prendere visione del documento senza estrarne copia». La fase successiva della controversia sarà la discussione nel merito della questione relativa alla revoca della qualifica di agente di pubblica sicurezza, fissata per l’udienza del prossimo 8 ottobre.