Il «curriculum»
Nuovi guai per Gianky Cavallari: ora rischia un processo per bancarotta
Il figlio dell’ex «re» delle cliniche private già condannato per narcotraffico internazionale e raggiri societari
Alceste Cavallari, detto Gianky, figlio del defunto «ex re» delle cliniche private pugliesi Francesco «Cicci» Cavallari, rischia un nuovo processo. Questa volta l’accusa per lui è bancarotta fraudolenta. Avrebbe causato il crac della società Simafin (fallita nel 2022), di cui è stato amministratore dal 2009 al 2018. Si tratta della stessa società per la quale Cavallari è già stato condannato a un anno di reclusione per false comunicazioni sociali, con riferimento a passaggi di quote con firme apocrife (per la medesima vicenda sono attualmente a dibattimento il fratello Marco e il commercialista Paolo Pate.
Nello stesso periodo, la primavera 2018, in cui Alceste Cavallari metteva le firme false sulle scritture private di compravendita di quote per estromette l’ex moglie socia (il processo d’appello è fissato per il prossimo 16 ottobre), avrebbe messo in atto una serie di raggiri per svuotare le casse dell’azienda di famiglia. In particolare, stando alle indagini coordinate dal pm Lanfranco Marazia, che ne ha chiesto il rinvio a giudizio, avrebbe distratto il ramo d’azienda esercente l’attività di residenza socio sanitaria assistenziale per anziani «Villa Fiorita» mediante cessione alla collegata Cafin srl, legalmente rappresentata e amministrata dallo stesso Cavallari, al prezzo di 10mila euro oltre accollo non liberatorio del residuo mutuo chirografario di circa 150mila euro. Con altre operazioni dolose, poi, «mediante - si legge nelle imputazioni - il reiterato e sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie e previdenziali», per un importo di circa un milione e 300mila euro, di cui 750mila euro per sorte capitale e la differenza per interessi, sanzioni e diritti, avrebbe contribuito ad aggravare ulteriormente la situazione debitoria della società.
Ancora, avrebbe distrutto i libri e le scritture contabili dal 2016 al 2018 per impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Infine, avrebbe omesso di depositare i bilanci e le scritture contabili e fiscali obbligatorie entro tre gironi dalla notifica della sentenza di fallimento (in audizione Cavallari ha spiegato di avere avuto notizia del fallimento quattro giorni dopo l’apertura della procedura).
Quando questa vicenda approderà in un’aula di giustizia, non prima dell’autunno, per Cavallari potrebbero essersi già definite in appello le altre vicende penali che gli sono già costante condanne in primo grado: 1 anno di reclusione per le firme false ma, soprattutto, 12 anni per traffico internazionale di droga (udienza d’appello fissata per il 19 settembre). L’accusa per lui è di aver fatto parte di una associazione per delinquere, capeggiata dal boss di Noicattaro Giuseppe Annoscia, l’ex sanguinario di Poggiallegro, affiliato al clan Parisi di Japigia, ritenuta la cellula operativa dell’importazione di decine di chili di droga dall’estero. E in Spagna, in particolare in Andalusia, a tenere i rapporti con i narcos sarebbe stato proprio Cavallari. Quando i carabinieri a giugno 2023 andarono a notificargli l’ordinanza di arresto, gli trovarono in casa quasi tre chili di droga, per la cui detenzione ha patteggiato una pena a 4 anni di reclusione (inclusi nei 12 anni dell’altra condanna per narcotraffico). Per queste vicende Alceste Cavallari, assistito dall’avvocato Valeria Volpicella, è attualmente detenuto agli arresti domiciliari.