Tecnologia
PolibaSat, dal Politecnico all’Expo 2025 di Osaka
Il satellite punta a monitorare le orbite dei detriti spaziali. Si cercano finanziatori per lanciarlo in orbita entro il 2027
BARI - Sarà esposto all’Expo 2025 di Osaka, dal 13 aprile al 13 ottobre, il cubesat ideato e realizzato dal Politecnico di Bari. Il Padiglione Italia mostrerà al mondo «PolibaSat» e la speranza è che non solo incuriosisca ma generi collaborazione e applicazioni internazionali con ricadute dirette sul Politecnico e l’industria aerospaziale pugliese. Appena imbarcato sul cargo destinato al Giappone insieme agli altri progetti selezionati dalla Regione Puglia per l’esposizione sull’aerospazio, il modellino del satellite made in Poliba sarà accompagnato da un video esplicativo con le potenzialità tecnologiche che racchiude. Il laboratorio di Optoelettronica guidato da Caterina Ciminelli, ordinario di Ingegneria elettronica, che fra 6 mesi assisterà anche al lancio del nanosatellite paraguayano GuaranySat-2 che monta i pannelli solari ad origami inventati a Bari, nel 2024 aveva avviato il progetto di didattica innovativa che ha l’obiettivo di lanciare in orbita nel 2027 il primo satellite di Ateneo per monitorare le orbite dei detriti spaziali.
Professoressa Ciminelli, ci sono analogie tra i due progetti?
«Quello che correla le attività di PolibaSat e GuaranySat-2, è che in entrambi i casi parliamo di cubesat 3U di piccole dimensioni. Cambia però la finalità dei due satelliti. Guaranisat-2 guarda alla Terra per scopi di monitoraggio di dati terrestri specificatamente relativi all’agricoltura di precisione. Il PolibaSat, come dice il gen. Vittori, «guarda alle orbite» perché vuole evitare la collisione tra il satellite e i detriti che vagano nello spazio. Va però rimarcato come in entrambi i casi sia importante il ruolo degli atenei».
In che senso?
«Il cubesat nasce come standard nelle università statunitensi e ben si presta a questa sperimentazione di tecnologia a scopi scientifici e didattici con dei costi di sviluppo compatibili con gli enti coinvolti. Il nostro è un progetto che vuole innanzitutto formare al saper fare: permette agli studenti di misurarsi con tutte le fasi di progettazione, integrazione e test del satellite per prepararli all’attività professionale, cercando di omogeneizzare la loro preparazione progettuale e ingegneristica, dato che abbiamo studenti con lauree di I e II livello o che arrivano dal dottorato, che sono meccanici, informatici o telecomunicazionisti. Posto che le competenze multi e interdisciplinari sono fondamentali, per noi è fondamentale trovare un linguaggio comune, come nel progetto paraguayano è essenziale far dialogare tecnologie diverse e già pronte, cioè non pensate da zero per Guaranisat-2 ma combinate fra loro per farlo funzionare».
PolibaSat cerca ancora finanziatori per il suo lancio e quando è previsto?
«Stiamo ancora cercando l’opportunità di lancio ma continuiamo a prevedere possa avvenire tra la fine del 2026 e l’inizio del 2027».
L’esperienza “intermedia” paraguayana immagino possa tornare utile al progetto PolibaSat.
«Sono tutti tasselli che si compongono. L’attività richiede che si faccia esperienza così come che si costruiscano professionalità che si possano dedicare intensamente a queste missioni. PolibaSat nasce anche con l’idea che il cubesat per monitorare le orbite possa essere solo il primo di una serie, a dimostrazione di come il Poliba sappia progettare, realizzare satelliti e interloquire con partner nazionali e internazionali. L’ateneo, con il rettorato del prof. Cupertino, ha fortemente creduto in questa modalità di crescita, sperimentale e progressiva».
Le prospettive del settore promettono bene.
«Se il comparto dovesse crescere in maniera così rosea come sembra, le ricadute potranno essere molteplici. Lo stesso satellite paraguayano parla di agricoltura di precisione cosa che già ci tocca molto da vicino, ma lo stesso dicasi per l’esplorazione spaziale che può tornare utile in termini di monitoraggio della Terra e prevenzione dei disastri».
Useremo un Cubesat, standard satellitare che ricade nella categoria dei nanosatelliti, oggetti modulari 10 cm x10 cm che pesano al massimo 1,3 kg. Noi immaginiamo di usare tre moduli, quindi 30 cm x 10 cm in modo da ospitare strumentazioni più complesse sfruttando la miniaturizzazione delle tecnologie da mettere a bordo. In questa fase non pensiamo di sviluppare componentistica nuova ma, usando quella disponibile, di sviluppare il payload, la strumentazione funzionale alla missione che punta all’applicazione per il monitoraggio dei detriti. Nell’ambito di un programma pluriennale di lancio, invece, si potrà usare un Cubesat per testare nuova tecnologia spaziale rendendolo un validatore d’innovazione.