la storia
Quattro anni fa il palazzo crollato a Modugno: tutti prosciolti. «Fu cattiva manutenzione»
Una vicenda che, con dimensioni ridotte, presenta numerosi punti in comune rispetto al recente disastro di via Pinto, a Bari.
BARI - «La più probabile causa che ha determinato il crollo dell’edificio va ricercata nella incuranza manutentiva dell’immobile» e, in particolare, la «precaria condizione della impermeabilizzazione delle coperture: lo strato impermeabile è “invecchiato” e lesionati» con «evidenti tracce di infiltrazioni all’intradosso del solaio». È uno stralcio della sentenza di proscioglimento dei due dirigenti comunali di Modugno ai quali la Procura contestava di non aver eseguito i controlli e i conseguenti provvedimenti per la messa in sicurezza della palazzina disabitata crollata la sera del 9 gennaio 2021 in via Marconi, nel centro della cittadina alle porte di Bari.
Una vicenda che, con dimensioni ridotte rispetto al recente disastro di via Pinto, presenta numerosi punti in comune. Anche in quel caso le segnalazioni relative a «lesioni su edificio disabitato» risalivano a molto tempo prima. E proprio in virtù di questo gli inquirenti avevano ipotizzato presunte responsabilità nei confronti dell’allora comandante della Polizia locale Antonio Perchiazzi e del responsabile del settore Assetto del territorio Donato Dinoia. Quando il palazzo crollò, una macchina che era parcheggiata in strada - via Giovanni Battista Stella - fu danneggiata dai massi, le reti di luce e gas furono interrotte lasciando parte del quartiere al buio per ore, ma oltre al grande spavento e alla evacuazione dell’edificio adiacente a quello venuto giù, fortunatamente non ci furono feriti.
Dagli accertamenti fatti dai carabinieri, coordinati dal pm Baldo Pisani, emerse che già ad agosto 2013 era stata segnalata la caduta di calcinacci e un anno dopo, a settembre 2014, i proprietari dell’immobile accanto avevano denunciato, allegando foto, crepe sulla facciata. Il palazzo, che era disabitato da almeno dieci anni, è crollato sette anni dopo. Le ipotesi di reato di omissione di atti d’ufficio e concorso in crollo colposo contestate all’allora capo dei vigili Perchiazzi, difeso dall’avvocato Antonio La Scala, e al dirigente Dinoia, assistito dagli avvocati Pasquale Lapesa e Giuseppe Montebruno, son state ritenute insussistenti.
Già il preliminare sopralluogo, infatti, rilevò che il crollo era attribuibile a un cedimento strutturale causato probabilmente dal maltempo degli ultimi giorni. Quelle crepe segnalate anni prima non avevano a che fare con il crollo: il cedimento, cioè, si era verificato in una diversa porzione della struttura. La tesi, condivisa da pm e giudice, era che «lo stato di impermeabilizzazione sul lastrico solare risulta essere inadeguata alla funzione protettiva di tenuta delle acque». Al di là delle responsabilità, non accertate, quel crollo fu l’occasione per avviare, da parte del Comune, una mappatura di tutti gli immobili in stato di degrado per la successiva messa in sicurezza.