sanità
I prelievi a domicilio con le siringhe del reparto: nei guai 10 infermieri del Policlinico
Bari, chiusa l'indagine della Procura: gli operatori sanitari sono accusati di peculato. Si sarebbero anche fatti pagare dai pazienti per il "servizio"
BARI - Andavano a casa dei pazienti per fare prelievi di sangue e somministrare terapie, privatamente e in nero, usando materiale sanitario «rubato» sul posto di lavoro, il «Centro Emofilia e Trombosi» del Policlinico. Dieci infermieri dell’azienda ospedaliera barese sono indagati per peculato e presto potrebbero doversi difendere in un processo.
La vicenda risale agli anni 2016 e 2017. I dieci professionisti, tutti in servizio nel reparto di emofilia del Policlinico e, quindi, «incaricati di un pubblico servizio» evidenzia la contestazione formulata dal pm Marco D’Agostino, si sarebbero «appropriati indebitamente di materiale sanitario» di proprietà del Policlinico, «ad esclusivo uso ospedaliero» e pertanto «non distribuibile al personale infermieristico né autonomamente prelevabile e detenibile dagli stessi», utilizzandolo poi - è l’accusa della Procura - per effettuare prelievi a domicilio e terapie a pazienti in cura, in cambio di denaro e regali. Le indagini della Guardia di Finanza hanno documentato fino a marzo 2017 decine di episodi attraverso intercettazioni. Dagli accertamenti è emerso che per ogni prestazione gli infermieri si sarebbero fatti consegnare dai pazienti tra i 10 e i 15 euro come «regalo», «un caffè», e in alcuni casi anche utilità come bottiglie di vino e altri doni. Ma se il peculato - relativo al «furto» del materiale ospedaliero indebitamente sottratto in reparto - è formalmente contestato, l’aspetto relativo ai guadagni illeciti non è contenuto in specifiche imputazioni, anche perché si tratterebbe di reati tutti ormai prescritti.
Un copione già visto, a Bari, dove nei mesi scorsi a dover rispondere delle stesse accuse sono stati in dodici, infermieri - alcuni ormai in pensione - e un medico (l’oncologo Vito Lorusso, già condannato per aver costretto 21 pazienti a pagare tra i 100 e i 150 euro per visite e somministrazioni di chemio alle quali i malati avevano diritto gratuitamente, e coinvolto anche nel procedimento «Codice Interno» sul voto di scambio politico mafioso) di un altro ospedale della città, l’Istituto Tumori Giovanni Paolo II. In quel caso i «furbetti» scoperti dalla Procura erano accusati di aver causato alla struttura sanitaria tra il 2019 e il 2021 un danno di poco più di 3.500 euro, appropriandosi di farmaci e dispositivi sanitari per utilizzarli in visite private in nero.
Si andava dai 6 euro di una ex caposala ai 19 euro del medico ai 1.500 euro in medicinali di cui si sarebbe appropriato un infermiere in pensione. Quasi tutti hanno patteggiato o sono stati giudicati con rito abbreviato (l’oncologo è a dibattimento), ottenendo pene tra i 2 anni di reclusione e i 18 mesi di reclusione, dopo aver risarcito l’ospedale. L’indagine della Polizia, partita dopo la denuncia di una ex infermiera, aveva documentato decine di episodi di furti: tutto il materiale di cui si era persa traccia (medicinali di ogni genere, compresa morfina, siringhe, flebo, cateteri, garze, pannoloni, traverse) erano in buona parte - immotivatamente - nelle cucine e nelle camere da letto delle abitazioni dei dipendenti dell’ospedale. Per mesi gli indagati sono stati monitorati e ad incastrarli è stato proprio l’esito delle intercettazioni telefoniche e ambientali audio e video all’interno dei locali del reparto.
L’inchiesta che ora ha incastrato dieci infermieri del Policlinico si è mossa più o meno con gli stessi strumenti investigativi. I fatti risalgono a circa otto anni fa, ma le modalità della presunta frode sono le medesime.