L'intervista
Bari, la dottoressa presa a pugni da una donna in Pronto soccorso: «Stavo aiutando suo fratello e mi ha preso a pugni, eppure sui social la difendono»
Claudia Papa, aggredita mercoledì 22 al Di Venere: «Faccio questo lavoro per vocazione. La gente ormai considera i medici un capro espiatorio per tutte le cose che non vanno»
BARI - «Non ho alcun timore nel rientrare al lavoro, perché lavorare in emergenza-urgenza sanitaria è stata da sempre la mia vocazione». Lei è Claudia Papa, la dottoressa 46enne aggredita mercoledì scorso nel Pronto soccorso dell’Ospedale Di Venere dalla sorella di un paziente, poi arrestata e finita ai domiciliari. Nella sua lunga carriera ha lavorato prima nel Pronto soccorso dell’ospedale di Francavilla Fontana e poi nel 118 della Asl Bari. «Per molti questa strada è obbligata, per me è stata una scelta. Sono abituata ad affrontare situazioni al limite, dove la violenza fisica e verbale è all’ordine del giorno, ma questa volta non sono riuscita ad arginarla, perché davvero non me l’aspettavo». Appare molto rammaricata Claudia, soprattutto perché quel mercoledì ha fatto davvero di tutto per aiutare il paziente a stare meglio ed è invece stata ripagata con un pugno al volto, un trauma facciale e una prognosi di 8 giorni.
Ci dica come è andata?
«Ho iniziato il mio turno alle 14. L’ospedale divide le sale di visita in base ai codici e quel giorno mi sono seduta nell’ambulatorio dei codici meno urgenti. Ho iniziato quindi ad occuparmi delle visite. Proprio in quel momento, è entrata questa donna che, esprimendosi in dialetto barese, diceva di non voler aspettare e chiedeva se, per accelerare in tempi, qualcuno avesse bisogno di una “caricata di mazzate”. Io e l’infermiera le abbiamo chiesto quale fosse il problema e lei ci ha risposto dicendo che aveva il fratello che stava male. Dopo averle chiesto il cognome, ho controllato la schermata del paziente, comunicando alla signora che lo avrei chiamato a breve».
E dopo, cosa è successo?
«Dopo circa venti minuti ho chiamato il fratello, che aveva un’ernia inguinale. Ma in quel lasso di tempo, sia la signora che il suo compagno continuavano ad irrompere nella sala visite. Le ho anche spiegato che quando sarebbe toccato a suo fratello, avrei dovuto spogliarlo per la patologia di cui soffriva. E quindi le ho chiesto di non aprire continuamente la porta. Abbiamo cercato di spiegarle tutto con molta calma, ma dall’altra parte non c’era alcuna volontà di comprendere. Tant’è vero che durante la visita del fratello, il compagno ha spalancato la porta. Io e l’infermiera ci siamo messe davanti al lettino per nascondere il paziente nudo e con forza, abbiamo detto di chiudere la porta»...