L'intervista

«Futuro del Pediatrico, lo scorporo per il rilancio», le parole del prof. Cavallo

Barbara Minafra

«Altrimenti resterà una costola povera del Policlinico. L’Oncologico è diventato Irccs solo dopo essere diventato indipendente»

BARI - «Lo scorporo è un passaggio fondamentale per la cura dei bambini e per avere un centro assistenziale di alto livello. Finché il Giovanni XXIII sarà la costola povera di un sistema che drena la maggior parte delle risorse sul Policlinico, che ha 60 Unità operative e 1200 posti letto per l’adulto, non ci sarà futuro. L’ospedaletto ha appena 170 posti pediatrici e 10 Unità operative: è chiaro che sarà sempre penalizzato e i fondi, il personale, i beni strumentali finiranno alla struttura più grande». Il prof. Luciano Cavallo perora la causa che da anni tutti sposano ma nessuno concretizza.

Martedì potrebbe essere l’ennesima volta buona non solo per dare una direzione strategica autonoma al Pediatrico di Bari ma per trasformarlo in un presidio di cura e ricerca di riferimento nazionale, come merita di essere. In caso contrario, lo si condannerà a «morire lentamente per dissanguamento» nell’indifferenza generale, come dice il professore ordinario di Pediatria dell’Università di Bari in quiescenza e già direttore della Clinica Pediatrica e del Dipartimento di Scienze e Chirurgia Pediatriche del Giovanni XXIII.

Prof. Cavallo, scorporare il Giovanni XXIII dal Policlinico è l’unica via d’uscita, non per valorizzarlo, ma per salvarlo da un declino evidente.

«Non c’è forza politica che, da sinistra a destra, almeno a parole non sostenga l’autonomia del pediatrico. Se ne discute dall’assemblea dell’Associazione degli Ospedali Pediatrici Italiani (Aopi) del 2017 ma fino all’ultima riunione al ministero della Salute, la scorsa primavera, tutto è sempre finito con un “dobbiamo farlo”. Intenzioni ma nulla di fatto».

«Io mi trasferii dal Policlinico al Giovanni XXIII - aggiunge - perché ritenevo che l’apporto universitario gli desse lustro e perché mi rendevo conto che non potevo ricoverare un bambino in rianimazione con pazienti anziani, con attrezzature tipizzate per l’adulto. Servono apparecchiature e personale adeguati al bambino e medici pediatri, specializzati nelle patologie del bambino. Era logico che la clinica pediatrica dovesse avvicinarsi e integrarsi all’Ospedaletto da un punto di vista scientifico e clinico-assistenziale, ma non è mai avvenuto».

Martedì il Consiglio regionale si esprimerà su una questione che potrebbe rappresentare la svolta non solo per il Giovanni XXIII, ma un cambio di passo per la sanità pugliese.

«Il punto è che se non si fa lo scorporo, strutture, personale, obiettivi di crescita verranno meno. Assisteremo a una progressiva perdita di tutte le potenzialità dell’ospedale. Anche un pediatra giovane e bravo se ne andrà al Gaslini o al Meyer, non sceglierà una struttura destinata a morire, sempre più fatiscente, sempre più carente di personale, di attrezzature all’avanguardia».

È ottimista per martedì?

«Non molto. Sento promesse da 7 anni nell’indifferenza di molti e nell’ostilità di pochi. Se succederà, brinderemo con tutti i bambini».

Tenerlo così, è un costo e uno spreco.

«È un ospedale messo nelle condizioni di essere mediocre. Fa pronto soccorso e attività clinico-assistenziale fatta bene, ma è costretto ad essere una struttura di basso-medio livello perché lo hanno ridotto a poter fare solo così. Lo spreco non è in prospettiva, ma nei fatti».

Pensare di portare i bambini nei centri di cura  nel Centronord o «accontentarsi» di farli assistere da un ospedale per adulti, quando si potrebbe avere in casa una strutturapediatricadi alto livello, fa la differenza nella vita delle persone.

«Una differenza fondamentale sia come risparmio economico sia come risparmio umano se vogliamo considerare il disagio pazzesco a cui si sottopongono bambini e genitori che costringiamo a trasferirsi a Roma per cercare le cure del Bambin Gesù o al Gaslini di Genova o al Meyer di Firenze».

Per un genitore che ha un bimbo che sta male è unsovraccarico emotivo dover pensare quanto può costare la permanenza in un’altra città. La sanità finisce per fare differenze economiche.

«È un sistema tossico. Non tutti si possono permettere giorni o settimane in albergo o anche solo il costo del viaggio. È un aggravio per le famiglie ma anche per la Regione che dovrebbe capire che oggi pago 10 per lo scorporo, ma domani risparmio 3 e continuerò a farlo per gli anni successivi».

Renderlo autonomo è un investimento.

«È un investimento importante che si realizza in pochi anni, considerando l’indotto dalla Basilicata, dalla Calabria, dalla Campania. Basti pensare che se oggi l’Ospedaletto fa onerosamente lo screening neonatale per la Basilicata, domani potrebbe fare lo stesso per i ricoveri. Sarebbero le altre Regioni a pagare la Puglia e non viceversa. E poi, per un calabrese o un materano venire a Bari costerà sicuramente meno che andare a Genova o Roma, senza dimenticare che, in linea con l’Università, fungerebbe da ospedale di I livello per il territorio».

Il passo successivo sarà trasformarlo in un Irccs, potenziandone ricerca e sperimentazione.

«Prima serve lo scorporo. L’Oncologico Giovanni Paolo II è diventato Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico solo dopo essere diventato indipendente».

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