L'opinione

Alluvioni, anche a Bari il pericolo è dietro l’angolo. I geologi: «Bisogna ricalcolare il rischio»

Rita Schena

La tragedia nel 2005: una portata di circa la metà di pioggia sulle Murge che arrivando a Bari mise in ginocchio interi quartieri e seminò morte

BARI - Se qualcuno pensa che la tragedia di Valencia devastata dall'alluvione qui a Bari non sia possibile, sbaglia. A dirlo è la storia, e una sorta di allarme rosso rilanciato anche da Antonello Fiore, presidente nazionale della Società Italiana di Geologia Ambientale.

«Bari dal 1900 ad oggi ha subito quattro grandi alluvioni – spiega Fiore -: nel febbraio 1905, nel settembre 1915, nel novembre 1926 e l'ultima del 22-23 ottobre 2005, quella che allagò Cava di maso a Carbonara e provocò 6 morti tra Bari e la provincia. Stiamo parlando di alluvioni, che sia chiaro, non gli allagamenti che seguono le piogge forti, di fenomeni meteo ben diversi come portata. Facendo un parallelo tra la pioggia registrata nella provincia valenciana e la pioggia che devastò nel 2005 Bari: a Valencia si è verificata la catastrofe per 400 millimetri di acqua caduta in 8 ore, per l'alluvione di Cava di Maso fu l'effetto di due fenomeni registrati dalle stazioni di Santeramo, con 54 millimetri di acqua, e Mercadante (Cassano) di 149mm in una intera giornata».

Praticamente una portata di circa la metà di pioggia sulle Murge che arrivando a Bari mise in ginocchio interi quartieri e seminò morte.

«Quando si parla di millimetri di acqua piovana, per un millimetro ci si riferisce all'equivalente di un litro di acqua che cade in un metro quadrato – continua Fiore -. Va da se che se la pioggia cade su un terreno permeabile e in grado di essere assorbita, scorrere senza fare troppi danni, ma se cade su suoli impermeabili, chiaramente si crea il caos».

L'area urbana di Bari ha una naturale predisposizione ad essere soggetta ad eventi alluvionali. Attraversata da nove lame (da lama Balice a nord che termina a Fesca, fino a lama Giotta che sfocia a Torre a mare) di fatto è come se la città sia stata costruita su nove letti di torrenti. Ex fiumi che, anche se oggi sono secchi, rappresentano ancora il naturale deflusso dell'acqua che arriva dalla Murgia, un territorio dove lo spietramento per farne campi coltivati ha alterato molto la capacità del terreno ad essere permeabile.

«Dopo l'alluvione del 2005 l'Autorità di bacino portò avanti tutta una serie di rilievi per calcolare il rischio idrogeologico e capire come mettere in sicurezza la città – continua Fiore -, ma oggi dopo quasi 20 anni i dati sui quali si sono fatti quei calcoli previsionali non valgono più. Il Mediterraneo è diventato un hot spot per i cambiamenti climatici, e il mare Adriatico non ne è immune. Le temperature del mare si sono alzate ulteriormente in questi anni, in pratica quello che è successo a Valencia si può riproporre qui. Ecco perché è necessario avviare da subito nuove analisi, rifare i calcoli sul rischio, in base ad una situazione che si è molto aggravata. In questi ultimi anni si è costruito molto, le lame sono state messe sotto sforzo: servono nuovi studi e verifiche idrauliche aggiornate».

Pensiamo alla lama Lamasinata tombata dal cemento proprio alle spalle dove c'è l'attuale Metro, o a lama Valenzano che sfocia nel canalone, ma che necessita di manutenzione e pulizie.

«Il rischio c'è, per questo dobbiamo subito avviare verifiche sui nuovi dati pluviometrici e parallelamente spiegare ai cittadini come comportarsi in caso di alluvione. Si deve attivare una comunicazione capillare – conclude Fiore -. A Valencia sono stati tanti i morti per comportamenti errati, dettati dal panico o dall’impreparazione. Dobbiamo imparare dal passato e presente e saper prevenire eventi che possono scatenarsi anche qui».

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