Il caso
Capriati, le mani sul porto di Bari: scattano le carcerazioni
Al boss Filippo, nipote di Antonio, condanna a 16 anni e 6 mesi
BARI - Alla fine la giustizia ha presentato il conto al «nuovo clan Capriati» o a ciò che ne rimane. Stiamo parlando di quella propaggine della « famiglia malavitosa» di Bari Vecchia che tra il 2014 e il 2017 avrebbe cercato, tra le altre cose, anche di prendere nelle proprie mani il «controllo del servizio di assistenza e regolazione del traffico veicolare, connesso ai traffici e alle operazioni portuali all’interno del porto di Bari».
I detective della Squadra Mobile, cuore investigativo della Questura, che operano sotto le direttive del primo dirigente Filippo Portoghese, hanno notificato a quattro dei membri di quella articolazione che stava cercando di riportare in auge la famiglia di camorra dei Capriati, altrettanti ordini di carcerazione emessi dall’Ufficio esecuzioni penali della Procura generale presso la Corte di appello.
Si tratta di Filippo Capriati, nipote del «padrino» Antonio, detto Tonino, condannato a 16 anni e 6 mesi; di Gaetano Lorusso, che dovrà scontare una pena di 8 anni e 4 mesi; Salvatore D’Alterio, 7 anni e 4 mesi e Nicola Desantis, collaboratore di giustizia, condannato a 3 anni e 6 pesi.
Nel dicembre dello scorso anno, la Corte di Appello aveva ridotto le pene nei loro confronti e di altri tre imputati dell’inchiesta sulla rinascita del clan Capriati. La Suprema Corte di Cassazione infatti aveva annullato con rinvio la sentenza di condanna giunta alla fine del processo di secondo grado.
L’inchiesta come già scritto è quella sulla gestione mafiosa del porto da parte del clan, in grado di controllare nello scalo marittimo il servizio di assistenza e viabilità.
Accanto alle accuse relative alla gestione mafiosa del porto, al controllo del servizio di assistenza e viabilità venivano contestati anche altri reati. Primo e più grave fra tutti il traffico di droga, poi la detenzione di armi; l’acquisto di merci imposte ai commercianti del quartiere Carrassi (in particolare del mercato di Santa Scolastica) e agli ambulanti della Festa di San Nicola. Al termine dei primi due gradi di giudizio i giudici avevano emesso condanne fino a 20 anni di reclusione per i reati, a vario titolo contestati, di associazione mafiosa, traffico e spaccio di droga, aggravati da l metodo mafioso e dall’uso delle armi, porto e detenzione di armi da guerra, estorsioni aggravate dal metodo mafioso e continuate.
Nel 2022 la Cassazione ha rimesso tutto in discussione, accogliendo i ricorsi degli imputati, in particolare di di Filippo Capriati (difeso dall’avvocato Gaetano Sassanelli), e annullando con rinvio la sentenza proprio con riferimento al reato di narcotraffico.
I verdetti di appello bis ora sono diventati definitvi. Recependo le indicazioni della Suprema Corte, i giudici hanno ritenuto il reato di traffico di droga «assorbito» in quello di associazione mafiosa, riducendo così le condanna inflitte. Nel processo si erano costituite parti civili la cooperativa Ariete che gestiva i servizi ritenuti controllati dal clan e l’autorità portuale (nei precedenti gradi di giudizio gli imputati erano già stati condannati a risarcirle).