Il caso
Bari, fisioterapista ucciso dal papà di una paziente: «interrotta» la causa civile movente del delitto
La figlia del presunto killer ha tre mesi per agire nei confronti degli eredi di Di Giacomo
BARI - È stata formalmente interrotta la causa civile avviata dalla figlia di Salvatore Vassalli nei confronti del fisioterapista barese Mauro Di Giacomo, ucciso il 18 dicembre scorso sotto la sua abitazione di via Tauro, nel quartiere Poggiofranco. Il giudice del Tribunale civile di Trani Claudio Di Giacinto ha emesso nelle scorse ore il provvedimento, prendendo atto della morte del convenuto. In questi casi, così come previsto dalla legge, il processo si interrompe, ma è prevista la possibilità che la causa possa essere riassunta entro tre mesi nei confronti degli eredi. Una decisione che spetterà alla figlia del carpentiere di Canosa, arrestato giovedì scorso dagli agenti della squadra mobile con l’accusa di aver sparato al professionista.
È proprio questo, secondo gli investigatori, il movente dell’omicidio: Vassalli avrebbe agito mosso da un sentimento di astio, rancore e frustrazione nutrito nei confronti della vittima, ritenuta responsabile delle sofferenze fisiche e morali della figlia.
La seduta di fisioterapia risale al 5 settembre 2019: la ragazza sostiene di aver subito danni permanenti in seguito ad una manipolazione effettuata da Di Giacomo sul rachide cervicale. Un danno che altri specialisti hanno definito come «shock midollare», in seguito al quale la giovane - di professione insegnante - avrebbe subito un vero e proprio tracollo psicologico.
Nel gennaio 2023 il legale della famiglia aveva quantificato la richiesta risarcitoria in un massimo di 230mila euro, in subordine 45mila. La parte attrice aveva sostenuto di aver subito «una invalidità permanente in termini di danno biologico del 30%, con pari incidenza sulla capacità lavorativa». Il Ctu nominato dal Tribunale, invece, aveva ridotto la percentuale al 3-4 per cento, escludendo il danno psichico.
«La Vassalli ha rinunciato a docenze al nord - si legge nel ricorso - perché non è in grado di vivere da sola (lavare i piatti, svolgere le faccende domestiche, stendere i panni, lavarsi i capelli, etc…) costringendo la madre per lunghi periodi a trasferirsi con lei nella sede scolastica di Torino, così sconvolgendo la vita di tutta la famiglia. Di Giacomo, invece, aveva sempre negato “di aver mai eseguito le manovre indicate dalla Vassalli, nei cui confronti affermava di aver posto in essere soltanto pratiche di manipolazione cosiddetta “dolce”, scientificamente inidonea a procurare conseguenze quali quelle lamentate e che quell’unica seduta fisioterapica, in realtà, era servita unicamente a comprendere l’effettivo quadro clinico e quindi a valutare se c quali trattamenti fossero necessari».