Il caso

Altamura, agguato davanti alla discoteca: processo da rifare dopo 9 anni

Isabella Maselli

Il duplice ferimento, ritenuto mafioso, risale al 20 settembre 2015 ad Altamura

BARI - Sarà un nuovo processo d’appello a stabilire se l’agguato del 20 settembre 2015 davanti ad una discoteca tra Altamura e Cassano fu mafioso. La Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di condanna a 5 anni di reclusione inflitta in primo e in secondo grado nei confronti del 35enne Fabio De Girolamo, imputato per il duplice ferimento di Luigi Sforza (poi diventato collaboratore di giustizia) e Michele Acquaviva.

L’imputato risponde di lesioni personali e detenzione di pistola con l’aggravante mafiosa. L’episodio risale alla sera del 20 settembre 2015, davanti all’ingresso di una villa privata adibita per l’occasione a sala da ballo per ospitare in festa «con la presenza - si legge negli atti - di numerosi ragazzi, anche minorenni».

L’indagine partì dopo l’arrivo dei due feriti all’Ospedale della Murgia di Altamura, colpiti tra tre proiettili di una pistola calibro 7.65 che avevano provocato a Sforza lesioni alle gambe e ad Acquaviva a polso e coscia. Immediatamente gli investigatori identificarono De Girolamo, all’epoca 26enne, quale autore dell’agguato.

Le sentenze - ora annullate - tracciano i rapporti criminali del clan D’Abramo-Sforza, di cui avrebbe fatto parte di uno dei feriti, descrivendo con dovizia di particolari la composizione del gruppo criminale sulla base di sentenze, intercettazioni, dichiarazioni di collaboratori di giustizia ex affiliati a clan alleati o rivali. Nelle dichiarazioni del «pentito» Pietro Margheriti, per esempio, un tempo affiliato al clan Strisciuglio, si accenna alla vicenda del ferimento durante la festa da ballo ad Altamura, perché gli era stata riferita - ha spiegato il collaboratore agli inquirenti della Dda di Bari - direttamente dal boss Ottavio Di Cillo, referente su Cassano della Murge del clan Parisi di Japigia, al quale sarebbe stato affiliato De Girolamo.

Di Cillo, spiegò il «pentito», gli aveva confidato dello scontro a fuoco tra il suo affiliato e Luigi Sforza. «Ora è vero che il diverbio era dovuto ad un banale dissidio, - ricostruivano i giudici - dovuto al fatto che Sforza non voleva consentire a De Girolamo di entrare e che probabilmente, come narrato dallo stesso Sforza, era stato scambiato per un appartenente al clan Nuzzi che pretendeva la tangente per il normale svolgimento della serata. Tuttavia - secondo il Tribunale di Bari e poi la Corte d’Appello - il dissidio era sfociato in confronto armato dalle indubbie connotazioni mafiose per il controllo del territorio, tanto che la vicenda era stata portata anche all’attenzione del livello malavitoso barese per poterla ricomporre bonariamente e senza ulteriori conseguenze, mediante un summit presso il ristorante “Transatlantico” di Torre a Mare il 25 novembre 2015». Altri collaboratori hanno poi raccontato l’episodio, compresa la vittima, consentendo agli inquirenti di «collocare il fatto nell’ambito di uno scontro tra malavita organizzata di Cassano e di Altamura, pur causato da un banale equivoco».

Una ricostruzione, con riferimento alla sussistenza dell’aggravante mafiosa, che il processo d’appello bis, dopo l’annullamento con rinvio della Cassazione che ha accolto il ricorso della difesa di De Girolamo, l’avvocato Giuseppe Giulitto, potrebbe essere ridimensionata.

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