L'inchiesta
Caso Bari, dopo Pisicchio ombre su Sandrino: «Sapeva dell'arresto, ha tentato di inquinare le indagini». I veleni sulle primarie: «I due candidati avevano paura di Sud al Centro ma sono venuti a incontrarmi»
La battaglia davanti al Tribunale Riesame: il marito dell’ex assessore regionale Maurodinoia chiede di tornare libero ma la Procura si oppone. Il verbale dell'interrogatorio di garanzia
BARI - Alessandro Cataldo sapeva di un arresto imminente, e dunque - secondo la Procura di Bari - avrebbe orchestrato un complotto con l’amico e sodale Armando De Francesco per inquinare le indagini. No, ribatte la difesa dell’ex segretario organizzativo di Sud al Centro, marito dell’ex assessore regionale Anita Maurodinoia: la registrazione del colloquio con l’ex consigliere circoscrizionale, venti giorni prima che per entrambi scattassero i domiciliari, serviva soltanto a «inquadrare» le trattative in corso con i candidati alle primarie di Bari e non fu consegnata ai pm per non danneggiare il centrosinistra.
Anche nell’udienza di ieri davanti al Tribunale del Riesame si è finiti a parlare di politica, e anche stavolta - così come nel caso dell’ex assessore Alfonsino Pisicchio - si intravede l’ombra di una possibile fuga di notizie. Sandrino, proprio come Alfonsino con i messaggi del governatore Michele Emiliano la mattina stessa dell’arresto, potrebbe insomma essere stato avvisato.
La difesa del 52enne di Triggiano (avvocati Mario Malcangi e Gianlucio Smaldone) ha impugnato l’ordinanza del gip Paola De Santis contestando la mancanza di esigenze cautelari: Sandrino non ha incarichi politici, e Sud al Centro ha annunciato che non parteciperà alle elezioni né sosterrà alcun candidato. Ma i pm Savina Toscani e Claudio Pinto (all’udienza ha partecipato pure il procuratore Roberto Rossi) ritengono che Cataldo debba rimanere ai domiciliari perché, appunto, potrebbe nuovamente tentare di mettersi d’accordo con i suoi coimputati.
Il giorno dell’arresto di Cataldo i carabinieri gli trovarono, in una borsa di pelle, una chiavetta Usb con la registrazione (già sbobinata) di un colloquio con De Francesco del 12 marzo. De Francesco è l’uomo chiave, quello da cui parte l’inchiesta. Nel 2021 fu registrato a sua insaputa da un finanziere, Gerardo Leone, mentre spiegava il «metodo Sandrino»: quello dei voti pagati 50 euro e di come era possibile verificare sezione per sezione se l’elettore ha mantenuto l’impegno. Tre anni dopo Sandrino e De Francesco sono di nuovo tornati in buoni rapporti, anche se Cataldo sapeva bene che la perquisizione cui è stato sottoposto all’epoca nasceva proprio dalle parole del suo ex collaboratore. Eppure i due hanno ripreso a parlare di politica: De Francesco, che voleva candidarsi con la Lega, dopo il contatto con Leone si era «rivolto e confrontato col consigliere regionale avv. Davide Bellomo, suo amico di vecchia data, e su consiglio di quest’ultimo, si era recato dall’avv. Michele Laforgia», uno dei due candidati alle primarie di Bari. È questa la premessa necessaria per comprendere tutto il discorso: Cataldo nei mesi scorsi era impegnato nell’organizzazione delle primarie di Bari, e De Francesco lo ha chiamato più volte per dirgli di «non fidarsi di Laforgia». Così a quel punto ha deciso di incontrarlo e di registrarlo.
«L’avvocato Laforgia sappi che lui ti odia. Non so se sarà lui il vincitore delle primarie e non so le tue intenzioni… ma non mi fiderei dell’avvocato Laforgia», è la frase di De Francesco che Cataldo registra dopo essersi fatto microfonare da un investigatore privato. «Mi odia?», chiede Sandrino. «Ti odia», gli risponde De Francesco. Che poi gli fornisce quello che secondo Sandrino è il movente dell’acredine dell’ex amico: una ripicca organizzata dal maresciallo Leone, che Cataldo aveva fatto arrestare durante le indagini sugli appalti truccati alla Provincia accusandolo di avergli chiesto soldi per insabbiare tutto (il processo contro il maresciallo è in Cassazione). «Quando fui chiamato da lui e da Leone - dice De Francesco a Cataldo -... Mi servivano dei soldi e Leone mi prestò dei soldi. E voleva (Leone, ndr) che io ti mandassi nel cesso più totale». Laforgia invece - sempre secondo De Francesco - «voleva sapere a tutti i costi se tu avessi collegamenti con la malavita. Ma io gli ho detto… io da quando lo conosco mai visto con la malavita. Come lo so? Noi a Triggiano lo conosciamo tutti».
La Procura però non crede alla tesi del complotto e anzi la considera una polpetta avvelenata: se davvero ci fosse stato un complotto ai suoi danni, Cataldo avrebbe dovuto e potuto denunciare immediatamente. Ma Sandrino nell’interrogatorio di garanzia si è difeso spiegando che l’«ostilità» di Michele Laforgia nei suoi confronti a lui semplicemente non risultava: «Registrai il colloquio perché volevo cristallizzare una posizione politica», ha spiegato ai pm, dunque non per usarlo a fini giudiziari. Tantomeno - secondo la difesa - per precostituirsi un alibi rispetto ad accuse che pure lui già conosceva. «Dopo l’indagine che a febbraio ha visto arrestare determinate persone - ha ammesso Sandrino nell’interrogatorio di garanzia, riferendosi all’arresto dell’ex consigliere regionale Giacomo Olivieri e della moglie Maria Carmen Lorusso - i due candidati sindaci di Bari non volevano incontrare Sud al Centro per inserirla nella coalizione di centrosinistra». Tuttavia, ha aggiunto Cataldo, «non avevo percepito ostilità da Laforgia, tanto che lo avevo incontrato più volte e il lunedì prima del mio arresto mi ha fatto visita. E tutto lasciava intendere, tranne che ce la avesse con me».
Non era solo Laforgia, dice Sandrino, a corteggiarlo politicamente. «Lunedì - ha detto nell’interrogatorio di garanzia del 15 aprile, riferendosi presumibilmente al 1° aprile - Laforgia ci ha fatto visita nella nostra sede di Sud al Centro in via De Giosa e dopo due giorni, quindi il giorno prima del mio arresto, ha fatto visita nella nostra sede Leccese». Il movimento, ha spiegato Cataldo rispondendo a una domanda del pm Claudio Pinto, fino al giorno delle manette non aveva ancora stabilito con chi schierarsi alle primarie. «Non avevamo ancora deciso - è la risposta - dovevamo decidere coralmente dopo aver ascoltato i due candidati. Una scuola di pensiero diceva una cosa, il segretario provinciale ne voleva un’altra...». Ma anche questa frase, che salva tutti dalla sua presenza politica ingombrante, secondo l’accusa potrebbe essere un tentativo di salvarsi.