Le motivazioni della sentenza
Norman Atlantic: «Il naufragio si poteva evitare»
Le motivazioni della sentenza sull’incendio a bordo della nave. Secondo i giudici il comandante del traghetto andato a fuoco avrebbe dovuto vietare la presenza di camion frigo con motori accesi durante la navigazione
BARI - L’incendio che causò il naufragio e la morte di 31 persone si sarebbe potuto evitare se solo si fossero rispettate le norme che vietano la navigazione di mezzi con motori accesi.
È in estrema sintesi la conclusione alla quale giungono i giudici baresi nelle motivazioni della sentenza con la quale a ottobre scorso hanno stabilito le presunte responsabilità per il naufragio del traghetto Norman Atlantic, avvenuto dopo un incendio scoppiato a bordo nella notte tra il 27 e il 28 dicembre 2014, che provocò la morte di 31 (19 tuttora disperse) persone e il ferimento di altri 64 dei circa 500 passeggeri a bordo, mentre la motonave navigava nel mare gelido e in tempesta al largo delle coste albanesi sulla rotta Patrasso-Ancona.
Il Tribunale ha condannato 3 imputati e ne ha assolti altri 23, individuando le sole colpe nei confronti del comandante Argilio Giacomazzi (6 anni di reclusione) e dei due componenti dell’equipaggio Gianluca Assante (primo ufficiale di macchina, condannato a 5 anni e 4 mesi) e Francesco Nardulli (marinaio di guardia in plancia quella notte, condannato a 3 anni). Tutti gli altri che rispondevano del naufragio, compresi l’armatore, proprietario della nave, Carlo Visentini, i due legali rappresentanti greci della società Anek che aveva noleggiato il traghetto e il primo ufficiale Luigi Iovine, sono stati assolti «per non aver commesso il fatto».
Le motivazioni della sentenza ripercorrono in quasi 500 pagine tutti gli atti, i documenti, le consulenze tecniche e le testimonianze che hanno costruito il lungo processo. A partire dal racconto di quella notte, minuto per minuto. Alle 3.09 il primo avvistamento del fumo. “Vieni, vedi quel finestrone, è fumo”, “no, non può essere mai, deve essere il riflesso del mare”, “non può essere il riflesso del mare, è fumo” sono le frasi pronunciate da alcuni componenti dell’equipaggio e impresse nel registratore di bordo. Dal fumo all’allarme incendio passò poi un quarto d’ora: erano le 3.26 quando il comandante urlò “c’è un incendio” per ben sette volte, ordinando di attivare l’impianto antincendio. Alle 3.53 la richiesta di soccorsi inoltrata alla guardia costiera di Crotone: “la situazione è davvero grave. Abbiamo il lato dritto della nave completamente fuori uso, completamente invaso dal fuoco. Siamo anche in blackout”.
Le indagini hanno stabilito – e i giudici hanno condiviso questa ricostruzione – che a causare il rogo sarebbe stato un camion frigo rimasto con il motore accesso durante la traversata perché non c’erano sufficienti prese di corrente per alimentare tutti i mezzi (80 quelli a bordo a fronte di 60 prese). “Sulla Norman Atlantic – si legge nella sentenza - si sono realizzate le peggiori condizioni astrattamente ipotizzabili, che hanno reso l’incendio indomabile a breve tempo dall’innesco”
Secondo i giudici “la scelta di aver intrapreso la navigazione nonostante le condizioni meteo marine fossero in peggioramento, costituisce solo una sorta di addebito cumulativo”. La vera responsabilità del comandante, l’unico a cui compete la decisione ultima in merito alla partenza della nave, non sarebbe stata tanto quella di “aver deciso di partire nonostante burrasca e mare forza 7”, ma di “aver trasgredito o comunque non aver fatto rispettare il divieto di tenere in funzione i motori durante la navigazione. Avrebbe potuto decidere di non partire o dare l’ordine di fare spegnere tutti i motori in funzione qualora ne fosse stata constatata la presenza dopo che la nave era ormai partite: questo avrebbe evitato” incendio e naufragio. Prive di fondamento, secondo il Tribunale, le ipotesi di un corto circuito, di un guasto elettrico o di un fuoco acceso dai clandestini che erano a bordo.
Quando poi scoppiò il rogo, chi era incaricato del «giro di ronda», Francesco Nardulli, lo avrebbe fatto in modo incompleto, non rilevando subito le fiamme. Ultima delle presunte negligenze, è quella di Gianluca Assante il quale, incaricato di attivare l’impianto antincendio, avrebbe aperto le valvole del ponte 3, quello sbagliato.
Nei confronti dell’armatore, invece, i giudici hanno ritenuto insussistenti le accuse perché nella corrispondenza via mail proprio relativa alla questione dei mezzi frigo a bordo “era stato chiaro” nel dire “carichiamo quello che possiamo, il resto rimane a terra” e, peraltro, “non aveva interesse a che la nave partisse a tutti i costi in assenza delle condizioni di sicurezza, la cui sussistenza era compito del comandante verificare prima di ordinare la partenza”.