scandalo dress code
Pretendeva dress code dalle studentesse, il Consiglio di Stato lo destituisce: «Bellomo non è più magistrato»
Decisione confermata. Tacchi a spillo e minigonne, in un contratto che Francesco Bellomo faceva sottoscrivere alle corsiste della scuola
BARI - Sull’ex consigliere di Stato Francesco Bellomo è stata accertata «la sussistenza dell’attività scorretta contestata e la consapevolezza della idoneità della condotta a ledere l’onore e il prestigio della magistratura». Con questa motivazione il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso di Bellomo, confermando la precedente decisione del Tar Lazio sulla sua destituzione della magistratura. Francesco Bellomo, direttore scientifico della scuola di preparazione al concorso in magistratura «Diritto e Scienza» che ha sede a Milano, Roma e Bari, non potrà più indossare la toga.
La vicenda riguarda il «dress code», tacchi a spillo e minigonne, che l’ex magistrato imponeva alle corsiste e borsiste della sua scuola. Un codice di comportamento messo nero su bianco in un contratto che faceva sottoscrivere. In sede penale le denunce delle donne hanno dato origine a diversi procedimenti, tutti conclusi con proscioglimenti o archiviazioni.
Ma al di là delle insussistenti responsabilità penali, la magistratura amministrativa di cui Bellomo faceva parte ha deciso di punirlo con la sanzione più grave: la destituzione. E ieri i giudici della VII sezione di Palazzo Spada hanno ribadito il concetto. «L’immagine stessa del magistrato - si legge nelle 113 pagine della sentenza - evoca un modello ideale, rispettoso dell’insieme dei doveri che ne definiscono gli schemi comportamentali e affidatario della tutela dei diritti di ogni consociato; pertanto i magistrati, particolarmente, sono tenuti a conformare oggettivamente la propria condotta ai più rigorosi standard di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio». Quello che, secondo il Consiglio di Stato, Bellomo non avrebbe fatto.
«L’essere consigliere di Stato - dicono i giudici - ha costituto» per Bellomo «il perno della pretesa di legittimità della sua condotta e, quindi, della pretesa di specifici comportamenti da parte delle borsiste», di cui l’ex magistrato avrebbe leso «dignità e diritti fondamentali».
[isabella maselli]