crisi del settore
l’iniziativa «Noi edicolanti condannati a scomparire nel silenzio»
Una petizione contro la crisi. Negli ultimi 3 anni ha chiuso i battenti il 20% dei chioschi esistenti
BARI - «La verità è che noi edicolanti stiamo sparendo nell'indifferenza più totale, una fine che non meritiamo e che basterebbe poco ad evitare, perlomeno a tentare di evitare. Non riusciamo veramente a capire il perché. Si parla della crisi dei giornali e non ci si rende conto che se noi affondiamo si perderanno per sempre i posti dove si vende l'informazione, luoghi che sono presidio nei quartieri. Forse qualche edicola più grossa ancora lavora, ma noi che gestiamo i piccoli chioschi, se non si interverrà concedendoci qualcosa, siamo condannati».
Gennaro Mandelli ha una piccola edicola nel centro di Mungivacca, da sette anni è un faro sicuro, terminale di tanti attori che si muovono nel quartiere. Come altri suoi colleghi a livello nazionale si sta facendo promotore di una petizione con una serie di rivendicazioni da presentare al Governo. «E' un mestiere che muore schiacciato dai costi – spiega – anche e soprattutto perché non ci viene permesso di differenziare i prodotti che possiamo vendere. Ci legano al nostro codice Ateco come ad una condanna senza la possibilità di vendere anche altro. Quando ho iniziato questa attività, riuscivo a coprire tutte le mie spese personali e avere qualcosa anche per la mia famiglia, oggi ci rimetto. Si parla di differenziare i nostri servizi ma solo a parole. Un punto raccolta per i pacchi Amazon? Il nostro guadagno è di 20 centesimi a pacco, pagati ogni tre mesi. Vi ricordate quando ci fu l'idea di farci rilasciare certificati anagrafici? In realtà era un progetto impossibile: avremo dovuto manovrare dati personali senza essere titolati. Per non parlare del lavoro domenicale: non ci viene riconosciuta alcuna maggiorazione a fronte dello sforzo, che è il motivo per cui ci sono alcuni che la domenica non aprono più e di conseguenza di giornali se ne vendono ancora meno”.
La moria delle edicole è sotto gli occhi di tutti. Tanti i piccoli chioschi che da un momento all'altro chiudono e vengono smantellati. «A Bari negli ultimi tre anni ne sono stati chiusi più di una decina. Ormai siamo rimasti in pochi, non arriviamo ai 50. C'era una edicola in quella che oggi è via Falcone e Borsellino, all'angolo del carcere, in via Amendola di fronte al distributore, in viale della Repubblica... ed è meglio che la smetto che mi sale un nodo in gola a pensarci».
La categoria però non vuole scomparire in silenzio. Già lo scorso anno ha provato a far pressioni sul Governo con una prima petizione caduta nel vuoto, ora ci riprova. «La Federazione italiana editori giornali ci costringe a lavorare con un accordo nazionale stipulato nel 2005, scaduto nel 2011, con aggi mai riqualificati secondo almeno degli aumenti Istat, con modalità di pagamento che rasentano lo strozzinaggio – si legge nella nota che stanno facendo girare -. Siamo schiavi di una filiera che vede solo noi, gli unici a pagare la crisi in atto da tempo e senza nessun paracadute».
Quello che si chiede tra altre rivendicazioni è: riattivare e valorizzare le licenze di vendita; garantire dei «ticket cultura» per giovani da spendere unicamente in edicola; accompagnare con una buona uscita chi intende cessare l’attività con una sorta di prepensionamento; per i chioschi, la possibilità di poter cambiare la destinazione d’uso della struttura; riconoscere l'attività quale lavoro usurante: attivare regole antitrust per impedire eccessive posizioni dominanti da parte di alcuni editori; permettere la vendita anche senza pos di biglietteria trasporti pubblici, biglietti gratta e vinci e lotterie.
«Magari siamo anche condannati, ma si può anche tentare di far qualcosa per ritardale la fine, no? - si chiede Mandelli -. Invece ormai serviamo solo a pagare. Io per il mio chiosco di 8 metri quadrati pago sia la tassa per l'occupazione del suolo, sia l'Imu perché ho dovuto accatastarlo. Devo versare la tassa rifiuti, nonostante il mio rifiuto è carta che conferisco nel bidone apposito. Non si può andare avanti in questa maniera. Qualcuno ci deve ascoltare».