storie di invisibili

Clochard morti in strada a Bari: «Ciò che uccide sul serio è sentirsi abbandonati»

Rita Schena

Il referente di «Incontra» Michele Tataranni: «Non alziamo muri come la recinzione costruita in corso Italia. Una sconfitta per l’intera città»

BARI - «No, quando un senza fissa dimora muore per strada, in seguito ad una aggressione o un malore, non “se l'è andata a cercare” come alcuni possono pensare in maniera cinica. Si tratta di tragedie umane che colpiscono molto noi volontari, che ogni giorno con un lavoro complesso e lungo cerchiamo di ricucire le loro ferite personali ed esistenziali, di avvicinarli, rimboccare loro le coperte, offrire un pasto caldo. Difficile che a Bari si muoia di freddo, ma la povertà della solitudine, di trovarsi soli senza una famiglia, questo sì che fa la differenza, tra chi si trova a vivere in strada e chi no».

E Michele Tataranni, presidente di Incontra, chi vive in strada li conosce tutti, come Peter trovato morto nei giardini della Mater Dei l'altro ieri e che veniva dalla repubblica Ceca e Ousmane, senegalese, vittima forse di una aggressione e deceduto tra sabato e domenica in corso Italia nonostante l'intervento del 118.

«Se è vero che è stato aggredito altrove e che è poi venuto verso corso Italia forse stava provando a raggiungere il nostro centro diurno Area 51 – ipotizza Marcello Signorile referente della cooperativa sociale Caps -. Come se volesse cercare protezione in un posto che riconosceva come casa, dove chi è solo si sente protetto. Differente la situazione dell'uomo trovato morto poco fuori la struttura sanitaria, in questo caso, anche come medico, mi interrogo e penso che bisognerebbe fare maggiore attenzione con soggetti che hanno delle patologie e vivono in strada, che bisognerebbe formare il personale sanitario perché sappia tranquillizzarli, accompagnarli verso la cura. Sono soggetti fragili, non si fidano. E' per questo che rifiutano il ricovero».

«Conosciamo diversi soggetti come Peter, diffidenti, che preferiscono star soli, che si chiudono a riccio se cerchi di avvicinarli con troppa irruenza – spiega Tataranni -. Peter si avvicinava ai volontari se non c'era nessuno. Una persona con la quale si poteva parlare di tutto, con il suo sacco a pelo, lo zaino militare con tutto il suo mondo dentro. Diverso il giovane senegalese che stava cercando con il lavoro di cambiare la sua vita. Ora saranno gli inquirenti a chiarire cosa è successo, se è stato aggredito e dove, purtroppo quando si vive nella giungla della disperazione queste tragedie possono accadere. Io vorrei lanciare un appello a tutti: se vedete persone che si scontrano fisicamente, chiamate le forze di Polizia, forse intervenendo prima avremmo potuto salvare il giovane senegalese».

«Tutti i senza fissa dimora sono soggetti fragili che dobbiamo saper tutelare – conferma Signorile -. Le aggressioni in genere avvengono per liti tra pari, più raramente alimentate da discriminazioni e odio, o perché entrano in conflitto con la malavita. Si tratta spesso di soggetti psichiatrici che soffrono di patologie che neanche conoscono».

«Non alziamo muri – dice Tataranni -, come quella recinzione alzata da Fal lungo corso Italia. Una sconfitta per l’intera città. Corso Italia non è una strada degradata a causa dei senza fissa dimora, lo era ed è per i rifiuti, per l'abbandono. Invece di chiudere si poteva illuminare di più, ripulirla e magari collaborare con le associazioni per trovare soluzioni più dignitose e umane di un muro di metallo per allontanare chi si riparava dalla pioggia e dorme sui cartoni».

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