Il caso
Usura o compravendita di Rolex? A Bari il processo è da rifare
La Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza sul titolare del bar Mokador. Era stato condannato per aver prestato 86mila euro con interessi fino al 62%
BARI - C’è anche una presunta compravendita (non documentata) di Rolex del valore di decine di migliaia di euro dietro la vicenda che ha visto protagonisti per quasi un ventennio due imprenditori baresi e il loro «amico» Gianfranco Carrassi, 55 anni, titolare del noto bar del centro Mokador.
Una vicenda che nelle aule di giustizia è diventata una storia di usura, costata a Carrassi, in primo e secondo grado, con rito abbreviato, una condanna a 2 anni e 4 mesi di reclusione. Ora la Cassazione ha annullato con rinvio quella sentenza, rimandando gli atti ai giudici della Corte di Appello di Bari per un nuovo processo.
La vicenda risale agli anni tra il 2003 e il 2007, quindi quasi un ventennio fa. La prima denuncia dei due imprenditori baresi, padre e figlio, titolari di una ditta di restauro e costruzione di immobili, risale a dicembre 2007. I problemi economici della ditta - raccontarono ai poliziotti - erano iniziati tre anni prima a causa del mancato pagamento di circa 500mila euro da parte di una società romana che aveva subappaltato alla società barese i lavori di restauro dell’ospedale di Bitonto. Le difficoltà economiche li avevano costretti ad ipotecare un immobile di proprietà della società e a subire poi anche il pignoramento di un’abitazione. Per far fronte ai loro debiti, quindi, si erano rivolti a diverse persone per ottenere prestiti. Tra questi - spiegarono agli investigatori - anche al loro amico Gianfranco Carrassi. Con il 55enne era stata trascinata alla sbarra anche una seconda persona, il pregiudicato 66enne di Modugno Luigi Delle Foglie, condannato con sentenza ormai irrevocabile (2 anni e 4mesi) per aver prestato ai due imprenditori 187mila euro da ottobre 2003 ad agosto 2004, ottenendo circa 17mila euro in più (tasso del 60%) oltre a un Rolex del valore di 5mila euro.
Per Carrassi, invece, la questione non è chiusa. È accusato di aver prestato denaro a usura: 86mila euro da febbraio 2005 a maggio 2007, chiedendo e ottenendo la restituzione di circa 10mila euro in più, con un tasso di interesse che gli inquirenti hanno quantificato fino al 62%. Stando all’accusa, inoltre, Carrassi per incassare il credito usuraio avrebbe contattato più volte i due imprenditori con telefonate ed sms «facendo riferimento - si legge nell’imputazione - ad un gruppo malavitoso di Japigia».
Quando Carrassi è stato interrogato per spiegare i fatti, nel 2008, dopo le denunce del suo ex amico imprenditore, ha raccontato una storia diversa, e cioè che in quegli anni l’imprenditore era sua amico e in più di una occasione gli aveva venduto orologi, una decina di Rolex dai 4mila ai 12mila euro di valore, oltre a denaro - senza alcun interesse - perché era in difficoltà (denaro, ha precisato, quasi sempre restituito in breve tempo), negando altri prestiti successivi e spiegando di aver maturato nel 2006 un credito di circa 42mila euro per due orologi da 10mila e 12mila euro e per il mancato pagamento di vari assegni cedutigli in precedenza.
Quando un anno dopo l’ex amico, con il quale ormai non aveva più contatti, lo ha denunciato, Carrassi ha spiegato di essere ancora in credito di 16mila euro. I giudici baresi, nonostante le giustificazioni dell’imputato, avevano ritenuto credibile il racconto delle presunte vittime. Assistito dall’avvocato Nicola Quaranta, Carrassi ha ora ottenuto dalla Cassazione l’annullamento con rinvio di quella decisione. Nel ricorso la difesa ha sottolineato che molto delle contestazioni era frutto solo del racconto delle persone offese (non costituite parti civili nel processo), in più passaggi «contraddittorio» e «menzognero», ricordando che la stessa Corte d’Appello, in uno stralcio della sentenza, affermava che «non vi è corrispondenza tra le dichiarazioni della persona offesa e la documentazione bancaria in atti». Tutte questioni che dovranno essere sottoposte alla valutazione di un nuovo collegio.